“Era un’isola felice”, dice Rinaldo Schirru, ed è una frase che non ti aspetti da chi ha trascorso quasi cinque anni della sua vita all’Asinara, quando ancora non era parco nazionale ma penitenziario. Tornare in quei luoghi da uomo completamente libero, insieme alla moglie Ottavia, era uno dei suoi desideri, che Francesco Tomba, giovane regista cagliaritano, ha trasformato nella sua opera prima: è nato così “Dove nasce il vento”, docufilm prodotto dall’associazione Tusitala, guidata da Rosi Giua.

Le riprese all'Asinara (foto concessa)
Le riprese all'Asinara (foto concessa)
Le riprese all'Asinara (foto concessa)

Un esordio su un tema difficile come quello del carcere, che viene fuori senza toni cupi: “Quando mi sono confrontato con questa tematica ho pensato: non mi interessa realizzare un film sul dolore e sulla sofferenza. Volevo raccontare l’Asinara di Rinaldo senza rimorsi o rimpianti”, spiega Tomba, “la mia sfida è stata proprio questa: descrivere un mondo che solitamente appartiene al genere drammatico in maniera quasi bucolica, positiva”.

Il protagonista principale è Schirru, ora artigiano del cuoio conosciuto in tutta la Sardegna, che ha trascorso buona parte della sua vita in carcere – è stato anche l’ultimo bibliotecario di Buoncammino -: il suo è un esempio di come la redenzione sia possibile, nonostante tutto.

Ma il focus è anche sull’Asinara, che negli ultimi trent’anni ha cambiato volto: «Da colonia penale è diventata un parco, in mezzo ci sono state le celle di massima sicurezza per i mafiosi, con Falcone e Borsellino. Colpisce che Rinaldo, una volta tornato sull’isola, si sia orientato come se ci fosse stato una settimana prima. Si ricordava bene i sentieri, i luoghi della detenzione. Vederli ora, trasformati quasi in rovine, ha suscitato in lui una certa emozione», racconta Tomba, che durante le riprese è stato aiutato da Chiara Tesser e Pierfrancesco Carta.

Ad agosto il docufilm è stato presentato al Tagore Film Festival in India, dove si è aggiudicato l'Outstanding achivement award. Poi è stato selezionato nella categoria "La prima cosa bella" (opera prima) dell'Asti Film Festival: una delle giurie è composta dai detenuti del carcere di massima sicurezza piemontese.

Le riprese del film (foto concessa)
Le riprese del film (foto concessa)
Le riprese del film (foto concessa)

Nei giorni scorsi “Dove nasce il vento” è stato proiettato prima nella sede della Fondazione di Sardegna e poi nella casa circondariale di Uta. «Presentarlo in carcere è stato emozionante. Perché è una storia che riguarda in primo luogo i detenuti: c’è il confronto con le proprie storie personali. Rinaldo per loro rappresenta una speranza, soprattutto perché la moglie Ottavia lo ha atteso per lungo tempo, durante la detenzione. Questo ha colpito molto il pubblico di Uta: spesso i detenuti vengono abbandonati da amici, fidanzate, mogli. Il film dimostra che non sempre va così. Chi ha visto la proiezione alla Fondazione di Sardegna invece ha fatto più attenzione ad altri dettagli, come la simpatia e l’essere istrionico di Rinaldo», spiega il regista.

Francesco Tomba (foto concessa)
Francesco Tomba (foto concessa)
Francesco Tomba (foto concessa)

Tomba, 29 anni, è nato a Cagliari: ha studiato al liceo Siotto prima di trasferirsi a Bologna per laurearsi in Storia del cinema. Il suo sogno è il grande schermo, che nonostante le difficoltà mantiene un fascino immutato: «Le abitudini del pubblico sono cambiate. Una visione distopica ipotizza il declino del cinema e la sostituzione da parte delle piattaforme on line. Secondo me esiste un’altra chiave di lettura: il cinema conserva la sua magia. La visione collettiva di un film in una sala, dove si sentono risate e borbottii, e c’è un confronto sulle sensazioni, è destinata a sopravvivere e rafforzarsi. Nelle sale riaperte dopo due anni di Covid ho visto attenzione e bramosia di tornare al cinema. È un rito sociale di cui abbiamo bisogno e che non verrà sostituito dalla visione domestica».

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