Pronto, dottor Andrea Vitali, mi scusi, la disturbo?

«No, non si preoccupi, ho appena finito un aperitivo leggero con il brigadiere Efisio Mannu».

Capita, tra scrittori e personaggi dei loro romanzi, che si instauri questo rapporto. Andrea Vitali, 66 anni, poi, è un maestro proprio nel tratteggiare i caratteri dei protagonisti dei suoi libri, tutti best seller ambientati nel suo paese, Bellano, luogo tutt’altro che immaginario sulle rive del lago di Como, dove sono ambientati i sui libri e dove “lavora” anche il brigadiere sardo.

«Ho avuto la fortuna e la possibilità di nascere, vivere e restare tutta la vita nel mio paese natale. Lo considero un privilegio. L’immagine delle acque e dei monti retrostanti, gli odori, i profumi, mi accompagnano da sempre e non saprei farne a meno. Quando mi è capitato di dover scegliere tra la città, per esempio la vicina Milano, e il mio paese, ho sempre preferito Bellano. Io sono innamorato della mia comunità così come della mia vita che ricollego sempre a questi paesaggi, a queste atmosfere. Ho avvertito diverse volte il senso della nostalgia omerica quando mi è capitato di dovermi allontanare per qualche periodo, e ho sempre fatto ritorno prima possibile».

Andrea Vitali (foto concessa da Andrea Vitali)
Andrea Vitali (foto concessa da Andrea Vitali)
Andrea Vitali (foto concessa da Andrea Vitali)

 Anche per ambientare le sue storie.

«Sì, le mie sono storie di paese, un po’ nel solco della narrativa italiana che è maestra in questo: dare dignità letteraria a piccoli fatti, forse arrivo a dire anche a pettegolezzi, che possono diventare universali, senza spazio e senza tempo».

C’è anche un piccolo spazio per la Sardegna nei suoi romanzi.

«Un omaggio a mia moglie: i suoi genitori sono sardi, di Siliqua. Mio suocero era un carabiniere, fu trasferito a Caravaggio, dove nacque mia moglie Manuela Mancosu. Lei, tecnico di laboratorio, vinse il concorso pubblico e fu assunta. Aveva due sedi a disposizione, Luino e Bellano, scelse quella giusta. Ci siamo conosciuti così, io facevo il medico».

Tornate spesso in Sardegna?

«Abbiamo visto la festa della patrona Santa Margherita di Siliqua e sono stato a Villacidro per il premio Giuseppe Dessì, autore sardo che amo tanto. Questi due anni segnati al Covid ci hanno poi impedito i viaggi».

Il medico diventato scrittore.

«Anche questa in fondo è una storia da raccontare. Fin dalla scuola ho sempre avuto la passione per la lettura, grazie all’educazione di certi professori del liceo. La lettura mi ha accompagnato sempre, è una compagna per me fondamentale per la scrittura e la per la vita. Ma poi ce lo vedete voi un sedicenne che dice: voglio fare uno scrittore? Prima cosa, ho dovuto trovare un lavoro serio, per poter mantenere la mia famiglia. Ma scrivere è stato sempre il mio sogno».

Medicina e scrittura, c’è qualche altro legame?

«Io ho sempre lavorato come medico di famiglia e dal mio osservatorio personale, l’ambulatorio, potevo raccogliere confidenze, storie, curiosità, aneddoti del passato e del presente, che poi in qualche modo sono finiti nei miei romanzi. Così come i primi due scritti, “Il procuratore” e “Il meccanico Landrù”, sono nati da fatti familiari: in quel modo ho capito che piccoli episodi potevano incuriosire e appassionare la gente. Sul solco di quel che hanno fatto prima di me autori come Piero Chiara, Guido Piovene, Giorgio Bassani  e Giovanni Guareschi».

Come nascono le sue storie?

«Da piccoli racconti, chiacchiere di paese, racconti degli anziani, oppure da vecchie delibere comunali, dalle cronache dei giornali: a volte basta un trafiletto di dieci righe».

Lei ha ambientato i suoi romanzi negli anni Trenta. Una scelta anche politica.

«Sì, era un periodo storico particolare. Il fascismo si era consolidato e il regime partoriva personaggi-caricature come il podestà, il federale, i loro sottoposti, spesso macchiette, che si ingarbugliavano nella burocrazia, nella scala gerarchica, nelle piccole lotte di potere da pollaio, creando situazioni grottesche, paradossali».

Il suo stile è particolare: capitoli di due tre pagine uno legato all’altro. Che catturano il lettore dall’inizio alla fine.

«Grazie, è proprio questo il mio intento. E’ anche un modo di scrivere che mi consente di non perdermi in troppe descrizioni, di non allungare il brodo. È importante per me avere una storia da raccontare, personaggi da descrivere con i loro vizi e virtù, poi durante la scrittura do spazio a quel che può accadere, quasi come se fossi anche io uno spettatore incuriosito per quel che accadrà. Cerco di avere uno stile asciutto, a beneficio del ritmo».

Una produzione notevole e un grande successo di vendite da danni ormai.

«Uno, due libri all’anno. Scrivo tutti i giorni, nelle ore più fresche mi dedico a una storia nuova, che quotidianamente aggiorno anche solo con poche pagine. Adesso sto correggendo le bozze nel nuovo romando, ho interrotto per l’aperitivo con il brigadiere Mannu».

Tornerà insieme al maresciallo Maccadò, uno dei suoi personaggi cult?

«Sì, sì, è un filone che prosegue, ho già pronto un romanzo e avviato un altro ancora».

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