Il rapporto con Cagliari e i cagliaritani. Gioie e dolori al vertice del club, con un po’ di storia. Ma anche il motivo dell’addio di Claudio Ranieri alla panchina rossoblù e quelle contestazioni dopo Venezia che hanno fatto male: il presidente del Cagliari calcio, Tommaso Giulini, si è raccontato a  Goal Economy su Radio TV Serie A. 

I suoi inizi: «Avevo una passione per il calcio fin da quando ero piccolo, vincendo un trofeo ero stato notato dal Milan e avevo fatto qualche anno nel settore giovanile con Berlusconi e Galliani, che fu la mia prima palestra. Per un problema al ginocchio avevo avuto la possibilità di fare riabilitazione con Gullit: è stato un grande momento».

Legame con la Sardegna: «L'attività imprenditoriale di mio padre è stata in Sardegna, ha trovato questo giacimento di fluorite negli anni Sessanta che in pochi anni è diventato il più grande al mondo. La leggenda narra che, a quanto pare, mio padre fece la Campagna di Russia col padre di Massimo Moratti: nel 1995, quando decise di prendere l'Inter, fu affiancato da Pirelli e da mio padre. Avevo 18 anni e ci ritrovammo per la prima volta sulle cronache, perché avevamo il 12% dell'Inter».

L'acquisto del Cagliari: «Quando si è sciolto il CdA dell'Inter l'avvocato Delogu, che per anni è stato senatore e sindaco, mi ha chiamato e detto che c'era questa possibilità. Il primo pensiero è andato a una lunghissima chiacchierata che avevo fatto con Gigi Riva: sono stato uno dei pochi a entrare nel suo ufficio, sentire raccontare da lui cos'è stato quello scudetto e l'importanza del Cagliari per tutto il popolo sardo è stato un forte sentimento. Avevo un po' di tempo per una nuova avventura e l'avvocato Delogu fu molto bravo, perché da uomo esperto di istituzioni riuscì a buttarmi dentro a questa trattativa. Mi ha infastidito sentire che dietro il mio acquisto c'era la famiglia Moratti: non era così».

Rapporto con la piazza: «Abbiamo deciso con mia moglie e i miei figli di vivere a Milano per motivi personali e questo vedo che limita la coesione. Capisco che mi manca il vivere la città costantemente, poi magari il mio trascorso fra Milan e Inter non fa impazzire la tifoseria: vengono da un viscerale presidente che nei suoi 22 anni è rimasto quasi sempre in Serie A».

Momento peggiore: «Non ho dubbi, la retrocessione di Venezia. Ci portavamo dall'anno prima tanti errori, arrivammo a questa partita contro una squadra già retrocessa e senza stimoli. Se ci fosse stato uno spogliatoio più compatto sarebbe andata diversamente, poi scoppiò una contestazione e questo di gran lunga è stato il momento più brutto in assoluto».

Momenti migliori: «Più belli direi più di uno. Intanto la vittoria della Serie B, che il Cagliari non aveva mai ottenuto: ricordo il gol meraviglioso di Sau al 93' a Vercelli all'ultima giornata, che ci permise di superare il Crotone. Gli altri due sono magici. Uno è la vittoria a Bari, dove non eravamo favoriti, col diluvio e quell'incredibile gol di Pavoletti. È stato il momento della resurrezione, rapida, con le ceneri della retrocessione ancora caldi. Poi l'anno scorso, che è stato particolare, perché qualche giorno prima della partita decisiva per salvarci Ranieri mi disse che gli pesava fare avanti e indietro da Roma e che avrebbe chiuso coi club. Salvo poi ricevere la chiamata della Roma, che è assolutamente comprensibile. Lo sapevamo solo lui e io: aveva una motivazione fortissima di andare via con una salvezza, sono stati giorni dove l'ansia è stata forte».

Per il Cagliari l'ultimo bilancio si è chiuso con 3,6 milioni di perdita, il quarto consecutivo in passivo ma sempre migliorando i conti: «La storia della nostra gestione è un esempio perfetto per chi vuole fare calcio. Il primo quinquennio è stato di sostenibilità, abbiamo avuto la fortuna di crescere un grandissimo talento come Nicolò Barella che poi ha portato al secondo periodo. Poi la tempesta perfetta dopo la cessione di Barella all'Inter, quella dal valore più elevato Italia su Italia: c'era la volontà immediata, lasciando un figlio di Cagliari a un'altra società, reinvestire immediatamente per provare - a quel punto - a fare un salto di qualità nell'organico e in classifica. All'epoca la scelta è ricaduta su tre calciatori in particolare, costati 50 milioni: Simeone, l'unico che negli anni è stato rivenduto allo stesso prezzo, Nández che ha fatto cinque anni ottimi ma abbiamo perso a zero, e Rog dal quale abbiamo ereditato tre crociati e non è riuscito a esprimersi al meglio. Perché dico la tempesta perfetta? Perché il resto della rosa ha chiesto un adeguamento, si è alzato il monte ingaggi ed è scoppiato il Covid nel bel mezzo della più bella stagione, dove a dicembre con Maran eravamo quinti-sesti. Avevamo una squadra con un monte ingaggi troppo elevato per il Cagliari, senza ricavi e con la stagione successiva brutta calcisticamente parlando oltre che senza tifosi. Questo spiega i due bilanci con perdite mostruose. È un percorso che durerà ancora un paio di stagioni, si sta cercando di risollevare la barca attraverso una sostenibilità necessaria nel mondo del calcio. Anche eticamente. Sarei favorevole a un modello tipo salary cap, stile Nba, dove tutti possono competere per competenze e non per portafoglio».

Stadio: «È stata una strada molto lunga, perché abbiamo ereditato quasi il nulla. All'epoca il vecchio Sant'Elia era aperto per 5.000 persone, l'abbiamo riportato a 16.000 e siamo partiti con lo stadio provvisorio, costruito molto rapidamente. Siamo stati un esempio per tutto il calcio italiano, perché tantissimi club ce lo invidiano. L'abbiamo fatto in pochissimo tempo, anche grazie all'amministrazione comunale e al team del sindaco Zedda. All'interno della stessa pratica edilizia, con Zedda e Abodi che all'epoca era presidente della Lega B, siamo partiti con l'idea di stadio definitivo: pensavamo che nel giro di cinque-sei anni sarebbe stato realizzato il nuovo stadio, poi la Giunta Solinas ha avuto altre idee e quegli anni li abbiamo persi. E col Covid sono cambiate alcune idee, fra cui togliere il centro commerciale».

Costruzione stadio: «Abbiamo scelto questa partnership pubblico-privato, anche perché ho voluto evitare di seguire il percorso di Cellino che voleva uno stadio solo privato e aveva avuto un decennio di polemiche ed era finito in galera. La buona notizia è che oggi è tornato il sindaco Zedda, che in Regione c'è un nuovo governatore che spero prenda come massima priorità lo stadio. Avremo la concessione per 50 anni per rientrare di quello che è un investimento a perdere: i potenziali 15 milioni all'anno da matchday e servizi integrati sono gli unici ricavi del Cagliari Calcio. Ma avremo una struttura più comoda, uno stadio pensato ancora meglio in termini di acustica che potrebbe portare qualche punto in più e per le casse del club 10-15 milioni in più di ricavi del giorno gara. Tutto il resto, invece, sarà in carico alla società che si aggiudicherà il bando».

Il campionato: «Mi piacerebbe che tutti remassimo nella stessa direzione per avere un campionato sempre più bello, che non venga mangiato troppo dalla super Champions League e dai ricavi. Gli italiani hanno voglia di calcio e hanno voglia di Serie A, lavoriamo per fare sempre meglio».

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