Vergogna è rubare e farsi scoprire. Nel Paese (o nello sport) dei furbetti la logica in fondo è questa: non importa cosa fai, ciò che conta è che non si sappia. Le cose di campo restano in campo secondo un codice d’onore che di onorevole non ha nulla. Spalletti (che fa rima con furbetti) ci ride su. Secondo quanto riportato dai media, nel dopo gara avrebbe commentato (parola più, parola meno): “Siamo stati provocati da Mandzukic e abbiamo reagito. Non si deve fare. Insegnerò a De Rossi a mettersi la mano davanti alla bocca quando parla”. Anche concesso il beneficio dell’ironia, il bravo allenatore giallorosso non ci convince neanche un po’.

Magari potrebbero essere i bosniaci Dzeko e Pjanic a spiegare a De Rossi che certe offese in campo si possono, si devono evitare. Non importa se non sei razzista, omofobo, xenofobo o quant’altro; se hai amici omosessuali, neri, slavi o ergastolani. Non vale nulla, se poi ti esprimi in quel modo. In campo occorre essere professionisti seri. E professionisti non significa fare di tutto per vincere, ma far parte di un mondo nel quale lo sport è attività retribuita, lo stipendio milionario deriva anche dai diritti tv e la tv paga per vedere uno spettacolo dignitoso, non volgare o censurabile. Essere signori in campo si può: non è un caso se De Laurentiis, vantando il capocannoniere Higuain, abbia sottolineato: “È serio e lo deduci dal fatto che non ha neppure un tatuaggio, con tutto il rispetto per chi ne ha”. Certi atteggiamenti - non necessariamente estetici - possono ancora fare la differenza.

Ecco perché bisognerebbe cambiare la prospettiva nell’analisi di certi fatti. La mano davanti alla bocca, caro Spalletti, si mette quando si sbadiglia, tossisce o starnutisce. Non per nascondere vigliaccamente una frase ingiuriosa che offende non un avversario, ma un popolo intero. E l’intelligenza di chi la pronuncia.

No, non sono queste le cose che un tecnico deve insegnare ai propri giocatori ed è frustrante vedere un professionista ridursi al livello di mediocri allenatori di periferia. Quelli (purtroppo ne esistono ancora) che per darsi un tono invitano i ragazzini a simulare, a buttarsi in terra per fermare il gioco, a ingannare l’avversario e a non rispettare l’arbitro. Le infelici frasi di Sarri (un allenatore anziano) e De Rossi (azzurro e capitano della Roma) germogliano in questa palude della diseducazione.

Per De Rossi nessun provvedimento
© Riproduzione riservata