Il nome è quello di Monte Rughe, tra Sindia e Pozzomaggiore, tra Planargia e Meilogu. La sede, invece, è nel cuore delle Alpi. Residenza fiscale a Châtillon, quattro anime in croce a ridosso del Cervino, sede della prima e più grande holding pubblica dell’idroelettrico. Lo sbarco in terra sarda è silenzioso, come si conviene a chi non è abituato nemmeno a bussare quando varca il confine altrui. Il passo tra un’operazione affaristico-eolica ed uno “schiaffo” istituzionale è breve. Nessun sussulto di cortesia da chi smania di “violentare” montagne e promontori di Sardegna alla ricerca di vento e incentivi milionari.

Smemorati alpini

Eppure, lì, in Valle d’Aosta, dovrebbero conoscere come le loro montagne il significato dell’Autonomia Speciale, il rispetto delle prerogative statutarie e costituzionali. Evidentemente, invece, tra le cime innevate del confine italo-svizzero quei principi sono a senso unico, valgono solo se si tratta della Regione più “alta” d’Italia, mentre svaniscono quando in ballo c’è la terra più “isolata” del Mediterraneo. Non si sono posti il problema: il 12 settembre dello scorso anno hanno fatto nascere la “Eos Monte Rughe srl”, il grimaldello societario della Regione Valle d’Aosta congegnato per scardinare i promontori del centro nord-occidentale dell’Isola. Un’operazione sottotraccia, gestita con i passi felpati di un elefante che pensava di passare inosservato nelle stradine della Malvasia di Bosa, tra la valle dei Nuraghi e le antiche terre del Montiferru.

Gli è andata male

Invece, niente. Gli è andata male. Volevano passare inosservati con la solita “srl” da quattro soldi, per non indurre sospetti, visto che ormai non si contano più i “profittatori” del vento di Sardegna, coloro che si celano dietro avventate e mimetizzate società da diecimila euro di capitale. Lo hanno fatto anche loro, i signori della “Cva-Eos”, la società di fatto pubblica, controllata nientemeno che dalla “Compagnia Valdostana delle Acque - CVA S.p.A.”, per i poliglotti la “Compagnie valdôtaine des eaux - C.V.E. S.A.” come amano declinare il colosso dell’idroelettrico in versione multinazionale. Sono nati per macinare acqua, dalle vette alpine alle valli da cartolina. Baciati dalle altitudini, dal ghiaccio e da tanta acqua. Il loro business è sfruttare la catena di montaggio, il prezioso liquido che scende vertiginosamente, le turbine che macinano energia a costo zero. Facile, vivere tra le Alpi. Non gli bastava, però. Il due maggio scorso hanno spalancato le porte del Ministero dell’Ambiente per violare i promontori del Montiferru con un blitz eolico della Regione Valle d’Aosta senza precedenti. In realtà, in questi tre anni di assalto quotidiano all’Isola dei Nuraghi, si era assistito a un po' di tutto, dalle “spianate” cinesi alle “sarabande” americane, dal “flamenco” eolico della Spagna alle “incursioni” tedesche. Mai, però, una società pubblica, di proprietà di un’altra Regione, persino a Statuto Speciale, la Valle d’Aosta, aveva osato tanto. Certo, si sono presentati con l’anonima “Eos Monte Rughe”, ma il socio di maggioranza relativa, è “Finaosta”, la società finanziaria della Regione autonoma Valle d'Aosta.

Schiaffo all’Autonomia

Un "ceffone” all’Autonomia sarda, con la prepotenza delle multinazionali, l’irruenza di chi pensa di poter fare in Sardegna quel che vuole. Non risultano nei tabulati telefonici comunicazioni preventive ed istituzionali, semmai il palese tentativo di incunearsi in modo subdolo nella grande invasione eolica della Sardegna. Lo fanno con un progetto che scardina l’orizzonte di un territorio già sfregiato dagli incendi di tre anni fa, cosparso di beni identitari e civiltà nuragica in ogni anfratto di storia. Nove pale da 200 metri d’altezza, potenza di picco 64,8 megawatt, tutte da piazzare tra Sindia e Pozzomaggiore. Un impatto devastante su aree e paesaggi che i signori venuti dalle Alpi definiscono «a bassa valenza ambientale e marginali, caratterizzate da prevalente uso agropastorale». Come se potessimo definire inutili, noiose e improduttive le vette del Cervino o del Monte Bianco, come ridurre le Alpi Graie ad un irrilevante cumulo granitico su cui non cresce niente. C’è di peggio nei racconti non certo filantropici di questi novelli montanari del vento. Nel progetto presentato hanno il coraggio di scrivere: «L’areale prescelto è il risultato di un processo logico di selezione che ha portato alla individuazione del sito che è stato in grado di soddisfare la combinazione dei caratteri di valutazione del vento, ambientali e sociali». Si affidano alla “logica”, quella degli affari a tutti i costi, per giustificare il blitz in terra di Sardegna. Tra le motivazioni che giustificano la scelta del Meilogu ce n’è una che richiede la controprova: «Disponibilità delle Amministrazioni comunali e della popolazione ad ospitare il parco eolico».

Chi sono i favorevoli?

Chi sono gli amministratori sardi che hanno fornito questa disponibilità? Forse ad Aosta e dintorni sono abituati a ricevere le “disponibilità” al bar o in qualche incontro occasionale? Non esistono i Consigli Comunali in Valle d’Aosta dove esprimere posizioni ufficiali, istituzionali e amministrativamente corrette? E, soprattutto, quando e dove avrebbero registrato la «disponibilità della popolazione» ad accogliere l’ennesima “incursione eolica” in quel territorio, per non parlare di quanto sta accadendo in tutta la Sardegna? Affermazioni di una gravità inaudita perché a farle non è la solita multinazionale convinta di poter spadroneggiare in lungo e in largo, ma una società che, eliminando tutti i sotterfugi societari, è un operatore a capitale pubblico che dovrebbe aver ben chiaro il significato di rispetto delle istituzioni e delle procedure.

Nuraghi, non capanni

Che si tratti di un progetto “arrogante” come pochi altri lo si evince dall’ennesima affermazione intrisa di superficialità e “pressapochismo” da quattro soldi quando si dichiara che si tratta di «Aree a basso rischio archeologico». Sarebbe bastato traguardare un’immagine satellitare per rendersi conto del patrimonio nuragico di cui l’intera area brulica, ma forse per i signori dell’acqua alpina a scorrimento veloce era difficile accettare il responso della storia: quei Nuraghi, che per comodità hanno solo intravvisto in quell’area, sono la più avanzata testimonianza megalitica del Mediterraneo, molto più antichi di qualche modesto capanno alpino.

Paesaggio, il niente

Del “paesaggio sardo”, i progettisti, purtroppo anche sardi, se ne fregano, trattandolo alla stregua di un “comodino” dove conficcare pale eoliche alte come grattacieli da 66 piani. Arrivano persino a scrivere: «Disponibilità di superfici talmente estese e con variazioni di quote tali da garantire un distanziamento tra gli aerogeneratori in grado di minimizzare le mutue interazioni dovute all’effetto scia». Come dire: il “vostro” paesaggio è talmente vasto che possiamo agire indisturbati ampliando le aree dove distribuire le nostre “affettatrici” d’aria. Un progetto che a tratti “vaneggia”: «L’uomo, allorquando intraprende un’azione che incide sul sistema ambiente, esercita su di esso una pressione che può alterarne, più o meno sensibilmente, lo stato di equilibrio in un dato momento e in una data area. A fronte delle pressioni esercitate, il sistema reagirà adattandosi continuamente nello sforzo costante di raggiungere nuovi equilibri senza esaurirsi». Insomma, i valdostani prima devastano, poi l’ambiente, secondo la “filosofia” degli affari, risolverà il problema. Come se la Regione sarda decidesse di “affettare” il granito del Monte Bianco, tanto poi la natura “tapperà” lo sfregio.

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