Violato il diritto alla salute: lo Stato italiano condannato per il caso di Simone Niort
Il giovane sassarese ha una «sindrome reattiva al carcere», ma è in cella da otto anni e ha più volte tentato il suicidioPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
È in cella da 8 anni, pur avendo una «sindrome reattiva al carcere». E la Corte europea dei diritti dell'uomo ha riconosciuto la responsabilità dello Stato italiano – condannato – per la violazione del diritto alla salute e alle cure mediche di Simone Niort, un giovane di Sassari con problemi psichiatrici. In carcere si trova dall'età di diciannove anni, durante questo tempo avrebbe tentato il suicidio una ventina volte. Avrebbe compiuto anche atti di autolesionismo.
«La Corte ha rilevato la mancanza di un adeguato trattamento medico e di una presa in carico da parte delle autorità competenti, nonostante la gravità accertata dei suoi disturbi psichiatrici», spiega il legale di Niort, Antonella Calcaterra. «Ha inoltre accertato la mancata esecuzione di un provvedimento giudiziario che disponeva il trasferimento del ricorrente in una struttura penitenziaria più adatta alle sue gravi condizioni».
Simone Niort fu arrestato e finì in carcere nel 2016. Fin da allora tentò cominciò a compiere svariati atti di autolesionismo e, dopo una perizia psichiatrica, l'ufficio di Sorveglianza dell'epoca nel novembre 2022 ordinò al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di individuare un istituto penitenziario idoneo a ospitare Simone. L'errore sulla mancata identificazione di un percorso di cura alternativo al carcere – a quanto si apprende da fonti che seguirono il dossier – sarebbe stato innanzitutto procedurale, perché la Sorveglianza avrebbe dovuto chiedere non al Dap ma all'autorità amministrativa sanitaria competente.
Forse a causa della carenza strutturale di specifici luoghi di cura in Sardegna, Simone restò in carcere finendo regolarmente in una cella 'liscia' o di transito affinché non potesse recare danni ad altri o a sé stesso, restando isolato e senza svolgere attività educative.
«Sebbene non vi sia un obbligo generale di liberare una persona detenuta per motivi di salute», segnala Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, «in certe situazioni il rispetto dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, che vieta i trattamenti inumani e degradanti, può imporne la liberazione o il trasferimento in una struttura di cura. Ciò si verifica, in particolare, quando lo stato di salute del detenuto è talmente grave da rendere necessarie misure di carattere umanitario, oppure quando la presa in carico non è possibile in un contesto penitenziario ordinario, rendendo necessario il trasferimento del detenuto in un servizio specializzato o in una struttura esterna».
(Unioneonline)