Sono stati prosciolti i quattro dirigenti sanitari accusati di omicidio colposo ed epidemia colposa per la morte del chirurgo Marco Spissu, 72 anni, lo specialista ucciso dal Covid il 15 aprile 2020 che secondo la Procura aveva contratto il virus da un paziente che aveva curato all’interno della struttura privata Policlinico Sassarese.

Per i giudici invece «non può escludersi, al di là di ogni ragionevole dubbio» che la vittima, «deceduta per choc da insufficienza respiratoria secondaria a Covid-19» sia stata «infettata altrove da tale virus, in una qualsiasi attività della vita quotidiana, non necessariamente in occasione di lavoro».

Questa mattina il gup del Tribunale di Sassari, Giuseppe Grotteria, ha dunque respinto la richiesta di rinvio a giudizio degli imputati presentata dal pm Paolo Piras e ha decretato il «non luogo a procedere, perché il fatto non sussiste», nei confronti di Fiorenzo Delogu, coordinatore dell'unità di crisi dell'area socio sanitaria di Ats – difeso dagli avvocati Silvio Piras e Giovanni Sechi – e di tre dirigenti del Policlinico Sassarese: Paolo Argenti, consigliere delegato, Angelo Pietro Melis, direttore sanitario, e Angelo Capriotti, responsabile del servizio di prevenzione e protezione, assistiti dall'avvocato Agostinangelo Marras.

Paolo Argenti è stato rinviato a giudizio ma solo per ipotesi di reati contravvenzionali. A Delogu era contestato il reato di omissione di atti di ufficio per aver indebitamente rifiutato, in qualità di coordinatore dell'unità di crisi locale, di disporre l'esecuzione di un tampone per accertare la positività al coronavirus di Spissu, nonché il reato di morte come conseguenza di altro delitto. Gli imputati erano accusati di omicidio colposo ed epidemia colposa.

«Accogliamo con soddisfazione la decisione del giudice», dichiara l'avvocato della difesa Agostinangelo Marras: «La sentenza - chiarisce - afferma che il dottor Spissu, medico a contratto ed esterno al Policlinico Sassarese, può essere stato infettato dal Covid altrove, in una qualsiasi attività quotidiana, e non sul posto di lavoro».

(Unioneonline/v.f.)

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