La carta è rigorosamente intestata, manco a dirlo, con il cane a sei zampe. Sottotitolo eloquente: Eni, l’ente di Stato con la licenza di fare e disfare in terra di Sardegna. Il simbolo è quello potente di chi da sempre detta legge nella petrolchimica, nelle chiusure, nelle fughe e nelle bonifiche ambientali. I documenti in nostro possesso sono segregati in un dossier criptato, dove accedi solo se hai un sistema di traduzione di codici informatici necessari per scaricare decine di file di cui, ovviamente, in pochissimi dovevano conoscere l’esistenza. Il titolo del progetto è in codice: «Sito Multisocietario di Assemini – area Isola 5 - variante del progetto di bonifica della matrice suolo insaturo ai sensi del d.lgs 152/06, il codice ambientale».

Il silenzio inquinato

La regola è consolidata, far passare per un normale atto tecnico un piano che, invece, ha risvolti tutti da scoprire, con ammissioni e confessioni da far paura. In centinaia di pagine, carte, mappe e milioni di euro spesi e da spendere si nasconde un’operazione su cui non si possono non accendere i riflettori. In ballo c’è la zona industriale di Macchiareddu, quella a cavallo tra Assemini e Cagliari, la capitale della Sardegna. Un’enclave petrolchimica, fatta di sale e clorosoda, di buchi neri e voragini di inquinamento. L’Eni da anni tenta di disfarsene. Con un “martello pneumatico” ha prima demolito la sua presenza produttiva, cedendo in maniera rocambolesca e per molti versi ancora secretata l’anima chimica della sua attività in Sardegna e, poi, di recente anche la storica “Luigi Conti Vecchi”, la società che governa le saline di Santa Gilla.

Bonifiche annunciate

Gli è rimasta, suo malgrado, perché ogni acquirente gli ha sempre preteso la manleva dalla partita ambientale, la questione pesantissima delle bonifiche, delegata al suo braccio verde per eccellenza, l’Eni Rewind. Il documento è da una parte la fotografia di 15 anni di bonifiche annunciate e sempre infinite, di cantieri aperti e mai conclusi. In realtà, secondo quanto dichiarano i progettisti dell’ente di Stato, le bonifiche, quelle che riguardano questa porzione di terra violentata dall’industria di Stato e non solo, stavano per essere concluse. Il dossier parla di un primo approccio al risanamento che avrebbe raggiunto uno stadio del 93% dei lavori imposti all’Eni da parte del Ministero dell’Ambiente. Come si suol dire, in quel tratto di area inquinata interna allo stabilimento, ora nelle mani della Sca, la Società Chimica Assemini, si stava intravvedendo il traguardo. E, invece, ad un passo dallo sventolio della bandierina d’arrivo, il Ministero, il 12 maggio dello scorso anno, ha ordinato una variante al progetto iniziale, quello che risultava realizzato per il 93% dei lavori previsti. Il motivo è messo nero su bianco dentro un cumulo di carte complicate e quasi strategicamente incomprensibili. Per tradurle bisogna andare al cuore della variante. Le affermazioni sono talmente rilevanti che riaprono in maniera pesante il capitolo delle caratterizzazioni, delle verifiche dell’inquinamento e delle stesse bonifiche disposte in quell’area. In pratica sull’intera questione si apre uno squarcio pesantissimo legato ad affermazioni tutte scolpite nella carta intestata dell’ente di Stato.

Il caso Isola 5

Il primo tema è quello relativo alla cosiddetta «Isola 5», a ridosso della strada che percorre l’intera area industriale sul fronte verso Cagliari, alla destra dell’ingresso principale dello stabilimento del cloro-soda. Il documento dell’Eni trasmesso al Ministero dell’Ambiente recita: «Nell’area Isola 5, ubicata in Area Impianti dello stabilimento di Assemini, è attualmente in corso un intervento di bonifica che interessa la matrice suolo insaturo come previsto dal Progetto Operativo di Bonifica autorizzato con Decreto, in via provvisoria all’avvio dei lavori il 28 gennaio del 2016, e in via definitiva il 29 aprile di tre anni dopo».

“Sorpresa” veleni

Il racconto dei fatti non lo affidiamo alle supposizioni. I dettagli sono circoscritti e documentati: «L’intervento di bonifica è stato avviato nel Novembre 2018. Durante l’esecuzione dei lavori, che consistono prevalentemente nella rimozione dei rifiuti e dei terreni incassanti/contaminati per il successivo invio a smaltimento, sono stati ritrovati quantitativi e tipologie di rifiuti imprevisti rispetto a quanto riportato nel Progetto Operativo di Bonifica approvato; in particolare, in alcune porzioni delle aree da scavare, è stata riscontrata la presenza di Materiali Contenenti Amianto». Ed è qui il primo elemento che apre uno scenario inquietante, visto che quelle bonifiche erano state decise dopo una “caratterizzazione” apparentemente dettagliata dell’area. In pratica alla base delle bonifiche disposte dal Ministero competente c’erano indagini dichiarate come pesantissime sul territorio, giusto per non far sfuggire niente alle analisi territoriali sull’inquinamento. In quella stessa area, è scritto nel documento in nostro possesso, «nel 2008, durante i lavori di esecuzione del collettore della barriera idraulica dell’area Impianti, nello scavo eseguito nei pressi del pozzo PR9, ubicato nell’Isola 5, sono stati rinvenuti dei rifiuti industriali interrati derivanti da attività pregresse. Al fine di verificare ulteriormente la situazione riscontrata, sono stati realizzati in diverse sessioni oltre 145 scavi esplorativi, e quindi rinvenuti rifiuti interrati di varia natura. Nel corso del 2009 sono stati eseguiti ulteriori scavi esplorativi al fine di approfondire le informazioni sulla presenza di rifiuti e predisporre il relativo Piano di Bonifica».

“Errori”

Erano state così “precise” quelle analisi alla base delle bonifiche che la sorpresa finale è stata devastante. È la direzione dei lavori sotto la responsabilità del Ministero a prendere atto del misfatto inquinante. La «Nota tecnica di analisi e valutazione degli scostamenti dalle ipotesi di progetto» accende i riflettori sul caso. Non si tratta di scostamenti di poco conto rispetto alle analisi precedenti, ma di un vero e proprio “buco nero” ignorato dalle maglie dei controlli alla base del progetto di bonifica. Davvero troppo per farlo passare come un aggiustamento sotto traccia. Il piano approvato nel 2010 dal Ministero, la cui conclusione era prevista per dicembre 2022, risulta segnato da errori talmente rilevanti che è lecito domandarsi come sia stato possibile. Un errore macroscopico nonostante quei tanti carotaggi nel suolo e sottosuolo, in un’area relativamente circoscritta, meno di 50 mila metri quadri.

Confessione

La confessione è tutta nel capitolo del documento che riproduciamo integralmente: «Evidenze rilevate in fase di esecuzione dei lavori di bonifica». Il contenuto non può nascondere i fatti: «Tra la metà del mese di settembre 2020 e l’inizio del mese di novembre 2020, la Direzione Lavori degli interventi di bonifica, con il supporto tecnico dell’impresa esecutrice, ha disposto, nell’ambito dell’intervento di bonifica in corso, l’esecuzione di una serie di attività di approfondimento conoscitivo, funzionali alle attività di bonifica in corso, che ha riguardato tutta la parte della Macroarea 3 all’epoca non ancora bonificata e buona parte delle Macroaree 5 e 6. L’attività si è resa necessaria dal momento che, durante le operazioni di bonifica condotte sulle prime macroaree (1, 2, 4), è emersa la non coincidenza tra le previsioni progettuali e le evidenze reali di campo: la distribuzione areale e volumetrica dei rifiuti effettivamente riscontrata in corso d’opera e la loro tipologia si discostavano dalle assunzioni di progetto (con un aumento stimato nel 20-25%)».

Orsoline & progettisti

I progettisti dell’Eni Rewind hanno studiato dalle Orsoline e usano il linguaggio che più s’addice ad una confessione silenziata: «è emersa la non coincidenza». Tradotto: gli errori di analisi sono macroscopici e gravissimi, tanto che subito dopo reiterano e rafforzano il concetto: «Inoltre, rispetto alle previsioni progettuali, il quantitativo di terreni potenzialmente riutilizzabili ai fini del rinterro si è rivelato nettamente inferiore, in quanto la maggior parte dei terreni di scotico ed incassanti i rifiuti, caratterizzato nel corso dei lavori, ha mostrato superamenti delle concentrazioni delle soglia di contaminazione». Le parole sono devastanti: i terreni contaminati riutilizzabili «sono nettamente» inferiori a quelli previsti nel progetto. Non c'è molto altro da aggiungere.

Domande come spade

Su Macchiareddu restano sospese, come vere e proprie spade di Damocle, domande pesanti senza risposta: come è stato possibile “sbagliare” in maniera così macroscopica i progetti di bonifica? Come è stato possibile “negare” quelle evidenze inquinanti così rilevanti in fase di analisi e di carotaggi? E soprattutto: questo “errore” è limitato all’Isola 5 o le “sviste” sono più ampie e riguardano tutta la partita delle analisi e delle bonifiche di quell’area industriale? Di certo i documenti che stanno emergendo dal caveau del Ministero dell’Ambiente rivelano ben altro. Non solo queste bonifiche sono sempre in alto mare, dal 2010 ad oggi non sono ancora concluse quelle che riguardano parti marginali del compendio a ridosso delle saline Conti Vecchi, ma in quel “paradiso” di veleni ci sono zone grigie sulle quali domina il silenzio. C’è un’area, per esempio, quella chiamata in codice «Deco», Deposito Costiero, direttamente connessa con il pontile a mare, carica di pesanti verità. È su quel tema che i documenti in nostro possesso rivelano uno scontro in atto tra Ministero e la stessa Eni. Il capitolo riguarda gli scarichi e le concentrazioni di contaminanti in un’area vastissima, la stessa che confina direttamente con le saline Conti Vecchi. Un capitolo tutto da svelare, tra silenzi e mappe inquietanti di veleni, dispersi in superficie e nelle falde più profonde.

(1.continua)

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