Le piccole vittime di allora, adesso uomini, cominciano a venire allo scoperto e a raccontare gli abusi subiti da Antonio, "Tonino", Marci, il loro allenatore di calcio suicidatosi in carcere ad Alessandria la settimana scorsa, dove si trovava dopo l'arresto con l'accusa di aver abusato di decine di ragazzini, in gran parte piccoli calciatori, nell'arco di 30 anni.

Il pubblico ministero e la famiglia - che ha nominato un consulente di parte - hanno chiesto l'autopsia sul 63enne di Villasimius (Cagliari). Esame effettuato questa mattina per chiarire le circostanze della morte.

"Il dubbio principale - spiega a L'Unione Sarda l'avvocato Massimo Taggiasco, legale di fiducia di Marci - è capire se si sia davvero ucciso o se l'abbiano suicidato".

Si sa già qualcosa al riguardo?

"Al momento non ci sono elementi che facciano prevalere una tesi sull'altra: di sicuro sul corpo di Marci non ci sono lividi o altri segni di violenza. Tra 90 giorni, quando verrà depositata la relazione del medico legale, ne sapremo di più".

Il cadavere aveva un sacchetto di plastica in testa: com'è possibile?

"Infatti l'oggetto è incompatibile col regime carcerario, per questo la direzione dell'istituto ha avviato un'indagine interna e il pm ha fatto un sopralluogo, ascoltato gli agenti penitenziari e i vicini di cella".

Ci sarà un processo?

"Impossibile: l'indagato è morto, le indagini si fermeranno".

E le vittime delle violenze resteranno senza giustizia?

"Intanto è strano che proprio ora, a distanza di 30 anni, come dicono, abbiano deciso di parlare: perché non l'hanno fatto prima? Oppure non sono state credute? O, ancora, c'è qualche responsabilità da parte della società calcistica?".

Ha dubbi sul fatto che quei bambini siano stati violentati da Marci?

"Purtroppo le prove sono schiaccianti, non posso dire che si siano inventati tutto: quello nei video trovati in casa sua dai carabinieri, con impresse le immagini degli atti sessuali, è proprio lui, senza alcun dubbio; già nel primo interrogatorio avevamo deciso che si avvalesse della facoltà di non rispondere, non avevamo davvero nulla da controbattere".

Molti in questi giorni stanno denunciando.

"Parlano con i giornalisti, ma in pochi vanno poi in Procura o in caserma per mettere a verbale il tutto; sanno che, anche se volessero chiedere un risarcimento, non avrebbero molte speranze".
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