La partenza dalla spiaggia di viale Delle Sirene, i tuffi al Pinus Village, il rientro, la disgrazia. In un'udienza drammatica oggi Maurizio Loi, comandante dello yacht Thor II, ha ricordato davanti al giudice monocratico Giuseppe Carta di Cagliari cosa era accaduto quel pomeriggio del 9 luglio 2015, quando al termine di una gita in barca aveva trovato la morte Letizia Trudu, 11 anni, dilaniata dalle eliche ancora in movimento dello scafo.

L'uomo, accusato di omicidio colposo come Andrea Trudu, padre della vittima, ha reso dichiarazioni spontanee: ultimo passo prima delle arringhe degli avvocati difensori (a dicembre) e della sentenza (gennaio).

Loi ha sottolineato di aver sempre rispettato le regole del codice di navigazione, fermando la barca con l'ancora e spegnendo i motori, e ha sostenuto di aver "rimproverato" gli ospiti per i tuffi anomali. Anche il padre. Quel giorno, al rientro, arrivato davanti alla spiaggia aveva girato lo yacht per rivolgere la poppa verso riva e agevolare la discesa in acqua dei passeggeri.

Ma a operazioni in corso aveva visto già quattro persone in mare. A quel punto ha spento i motori e ha sentito qualcuno urlare "la bambina". Era a circa dieci metri. "Mi sono buttato, l'ho presa e portata a riva. Ho fatto il possibile. Io ho dato l'ok a buttarsi? Impossibile. Erano tutti al piano inferiore e non li vedevo. Avrei spento e riacceso i motori? Col frastuono di 1.500 cavalli nessuno si sarebbe tuffato. Solo molto dopo ho capito che si erano lanciati durante la manovra. Ho fatto tutto ciò che potevo per evitare la disgrazia. Non abbastanza".

Andrea Manunza
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