Le pale dal porto di Oristano a Villacidro: nasce un nuovo impianto, nonostante la moratoria
I due componenti usciti dallo scalo oristanese tra le proteste sono stati scaricati in un’oasi agricola davanti al Monte LinasPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Dalle terre di Eleonora d’Arborea al "Paese d’ombre” il passo è buio e lento. Quando l’ennesimo blitz di Stato si consuma su quel porto segnato da un binario morto mai utilizzato sono le tre del mattino. L’afa non ha attenuato nemmeno per un attimo la morsa che da giorni incatena l’umido possente alle donne e agli uomini della “Rivolta dell’eolico”. Quando i lampeggianti del potere, quello fatto di manganelli e scudi di vetroresina a prova di “sanpietrini”, irrompono sul proscenio dello scalo oristanese l’aria è impregnata di tensione e incredulità. Nessuno, ormai, a quell’ora, si aspettava che in uno Stato normale e civile si potesse assistere ad una scena tanto surreale quanto spropositata, quasi l’azione militare per sgominare un covo di narcotrafficanti.
La “lezione” di Stato
Dai Palazzi dell’ordine pubblico hanno organizzato una “lezione” ai manifestanti da giorni accampati alla “bell’e meglio” in quel piazzale desertico e inospitale davanti al porto eolico della Sardegna. Aver bloccato la notte prima la carovana di piloni e pale, aver resistito stoicamente, con spirito “ghandiano”, alle forzature imposte da chi dovrebbe governare e non agitare l’ordine pubblico, ha reso ancor più aggressivi i piani alti dei Palazzi del potere. Così è stato. Da subito, in piena notte, quasi a sfruttare il dormiveglia, hanno indossato caschi e manganelli, scudi e spintoni, con tanto di violento sollevamento forzoso di inermi manifestanti riversi sulla strada dell’invasione straniera. Uno schieramento di forze dell’ordine mai visto prima, nemmeno per fatti davvero cruenti e criminali della vita sociale dell’Isola, dalle clamorose e reiterate rapine ai portavalori alle chiamate da codice rosso ignorate.
Affari scortati
Qui, invece, come se da proteggere ci fosse un bene collettivo, che invece è privatissimo, con affari quotati in borsa e frutto molto spesso di attività poco trasparenti, si schiera, senza badare a spese, tanto pagano i cittadini, al gran completo l’esercito dell’ordine pubblico. Resistono i “coraggiosi” che alle tre del mattino, colti d’improvviso, hanno la tenacia di contrapporsi pacificamente a quella “marcia funebre” di Stato, organizzata per scortare quei “ventilatori” d’affari di provenienza straniera, funzionali a scavare la “fossa” letale del paesaggio e dell’ambiente dell’Isola. Rallentano per la seconda notte di seguito la carovana delle auto dedicate ai trasporti che qui tutti chiamano “eccezionali”. Nel corso delle conferenze dell’ordine pubblico che, nelle ultime mattinate avevano pianificato i blitz di Stato per tentare di neutralizzare la resistenza pacifica a questa invasione eolica, il Prefetto in persona si era assunto l’onere di dichiarare: «si tratta di manufatti destinati alla manutenzione straordinaria di installazioni autorizzate da tempo». Un’affermazione tanto pesante, quanto destituita di fondamento, proprio perché resa dal massimo rappresentante dello Stato nella provincia che fu di Eleonora, passata alla storia come garante dei diritti dei sardi. Quando l’alba sprona il percorso della colonna marciante segnata da lampeggianti multicolor, da far invidia alle più rinomate feste paesane a valle del Monte Linas, il “gabbiano d’acciaio” perlustra l’area dell’ultima tappa di quei devastanti “affettatori” di vento e incentivi, paesaggi e natura. Lo skyline è inequivocabile: zona agricola, fiorente, proscenio sui versanti di Sa Spendula, a ridosso delle vette del “Paese d’ombre”, tra Villacidro e Samassi. È qui che le affermazioni perentorie del Prefetto, quelle sulla “manutenzione straordinaria”, si infrangono in mille pezzi davanti alle immagini che il drone restituisce senza tema di smentita. Qui non c’è nessuna “manutenzione straordinaria”. Lo capirebbe chiunque addentrandosi in questo coacervo di nuove strade che si stanno aprendo come se dovessero costruire un reticolato viario in concorrenza con le avenue americane. In questo angolo di terra agricola, nel ricco villacidrese, stanno spianando come vogliono, senza alcun controllo, centinaia di ettari, con alberi possenti fatti saltare per aria a colpi di ruspe e motoseghe, con ceppi giganti sbattuti su carreggiate terrestri rese libere per il passaggio dei “bisonti” del vento. Qui il “falso” sulle “manutenzioni straordinarie” si sotterra in quelle voragini che hanno perforato irrimediabilmente quei terreni irrigati a suon di denaro pubblico per produrre “ben di Dio” e ora convertiti a “foraggio” per gli affari eolici in terra sarda. In questa vallata fertile e bagnata dall’acqua preziosa del Monte Linas, da Santu Miali a Pranu sa Cantissa, i mappali e le terre sono storie, famiglie, eredità, frutteti rigogliosi, campi seminati.
Di nuovo i piemontesi
Ora, ci sono i piemontesi, venuti dalle Alpi per spodestare paesaggi e natura, agricoltura e allevamenti a colpi di ciclopiche pale eoliche. Quei due monconi usciti dal Porto di Oristano a bordo dei “lunghi carri funebri” venuti dal Molise per spandere piloni e eliche in giro per la Sardegna, ora sono riversi a due passi dalla prima delle nove pale che dovranno devastare l’ultimo proscenio del Monte Linas restato intonso. Poliziotti e Carabinieri costretti dagli ordini superiori hanno dovuto scortare gli affari della “Das Villacidro”, una anonima società che con il comune del Monte Linas non ha niente da spartire, se non quei mostri d’acciaio che si accingono a conficcare nelle fertili terre tra Pimpisu e il villaggio di San Michele. La residenza fiscale di questi novelli piemontesi in terra altrui è a Cava, minuto borgo sulle pendici delle Alpi Marittime, tra Cuneo e Nizza, nel Piemonte più ligure che francese. Inutile chiedersi chi sono i proprietari, si finisce per entrare in un tortuoso girone d’affari tra trust e fondi finanziari, società correlate e nomi apparentemente insignificanti.
Moratoria farsa
Un dato è certo: quel cantiere è una nuova realizzazione. Stando alla “legge-moratoria” dovrebbe essere «vietato realizzare» nuovi impianti. La Regione avrebbe dovuto ordinare, stando ai proclami del dopo approvazione, il blocco del cantiere, per evitare la devastazione ambientale. I Carabinieri, la Polizia, la Forestale sarebbero dovuti arrivare sul posto per far rispettare la legge. Invece, sono arrivati sin lì per scortare gli affari di questi novelli signori del vento giunti nel “Paese d’ombre” nientemeno che dalle Alpi. Il segno dei tempi: Eleonora d’Arborea promulgava sapienti leggi per rispettare il patrimonio ambientale dell’Isola, con tanto di pesanti pene; Giuseppe Dessì, lo scrittore del Monte Linas, invece, narrava le gesta cruente dei villacidresi per cacciare gli invasori dalle terre pubbliche. Oggi, invece, si scopre che lo Stato racconta il falso per giustificare affari privatissimi, mentre la Regione non fa niente per far rispettare le leggi che dice di aver varato per difendere la Sardegna. Le pale eoliche, invece, scortate in piena notte da “manganelli” in assetto antisommossa e ordini superiori. Il segno dei nuovi tempi, quelli degli affari eolici in terra sarda.