«Eravamo consapevoli dello stato di disagio della donna e già nel 2015, dopo il suo ricovero per problemi psichici, avevamo presentato istanza perché venisse dichiarata incapace di intendere e di volere, ma l'istanza è stata rigettata perché la donna ha presentato un certificato medico che la dichiarava idonea all'affidamento della figlia».

È quanto spiega Filippo Cogotti, avvocato che tutela Piero Carta, il padre di Chiara, la ragazzina di 13 anni uccisa sabato pomeriggio dalla madre Monica Vinci, 52 anni, a Silì, alle porte di Oristano.

Da quanto si apprende la ragazzina – raggiunta da almeno 20 fendenti sferrati con un taglierino e poi strangolata con il cavo caricabatterie di uno smartphone – viveva con la madre dopo la separazione dei genitori. Ma negli ultimi tempi, a causa di alcuni segni di disagio psichico manifestati dalla donna, si era ravvicinata alla famiglia del padre.

Chiara, prosegue Cogotti, «si era avvicinata di nuovo al padre ed era nostra intenzione, ad aprile, quando sarebbero decorsi i termini per il divorzio, presentare una nuova istanza di affido. Ma c'è anche dell'altro: Chiara al compimento dei 14 anni, il prossimo 24 marzo, avrebbe potuto esprimere la sua preferenza davanti al giudice e decidere se stare con la madre o con il padre». 

Uno scenario che potrebbe contribuire a chiarire il movente dell’atroce delitto: Monica Vinci, consapevole che a breve avrebbe potuto perdere la figlia, l'assegno di mantenimento e la casa, potrebbe aver deciso di uccidere Chiara e di farla finita gettandosi dalla finestra di casa.

Tentativo, quest’ultimo non riuscito, la donna infatti è sopravvissuta e, mentre proseguono le indagini, si trova ancora ricoverata in gravi condizioni all’ospedale Santissima Annunziata di Sassari.

Oggi a Silì una messa in suffragio nel ricordo della giovane uccisa.

(Unioneonline/l.f.)

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