Aveva un posto part time a tempo indeterminato in un’impresa di pulizie. Alla scadenza del periodo di prova la titolare le ha consegnato un kit di gravidanza chiedendole di farlo nel bagno dell’azienda.

L’esito negativo ha rasserenato tutti, lavoratrice e imprenditrice. Pochi mesi dopo la ragazza, una ventenne nuorese, è rimasta incinta, e dopo aver inviato un certificato di gravidanza a rischio è stata licenziata per «giusta causa».

La denuncia arriva dalla Cgil, che ha impugnato il provvedimento, inviato per conoscenza all’Ispettorato del lavoro, all’Inps e al Consultorio dell’Asl. Succede nel 2024, a Nuoro.

«Una storia di ordinaria follia - commenta dalla Cgil Domenica Muravera – sono esterrefatta che oggi possano verificarsi ancora situazioni del genere».

La ragazza protagonista di questa storia al telefono dice: «Non pensavo di essere comunque felice anche dopo un licenziamento, diventerò mamma».

L’azienda evidentemente è convinta che nonostante quel test, la gravidanza è stata nascosta da prima. Al sindacato la ragazza si era rivolta preoccupata perché il 16 di febbraio ancora non aveva ancora avuto la retribuzione.

Il suo periodo di prova era iniziato il 15 novembre, il test di gravidanza era stato fatto l’11 dicembre. Tutto liscio, sino a gennaio.

La ragazza aveva incassato due mensilità, poi si era presentata nel Consultorio familiare dove era stato rilasciato un certificato di gravidanza a rischio e astensione da lavoro di 30 giorni, comunicato il 25 al datore di lavoro.

Il giorno successivo era arrivato il licenziamento, «con un messaggino», specifica la sindacalista. «Parlano di giusta causa, rifacendosi ad una sentenza della Cassazione perché avrebbe omesso lo stato di gravidanza, sottacendo uno stato ostativo al lavoro».

Il sindacato però ha impugnato il provvedimento di licenziamento, «illegittimo» sostiene Muravera in quanto «manca anche la lettera di licenziamento».

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