Della "porcilaia", le celle malfamate del carcere nuorese, ne aveva solo sentito parlare. Qualche volta c'era passato lì davanti. Ne percepiva muffa e buio, spranghe inamovibili e tanfo a sufficienza. Gli è bastato per pianificare una fuga senza precedenti dal carcere, una volta di massima sicurezza, di Badu ‘e Carros, periferia estrema della capitale della Barbagia. Il solo pensiero che da lì a poco i magistrati potessero spedirlo dritto al 41 bis, con tanto di isolamento nella latrina storica destinata ai più riottosi, gli è bastato per pianificare ogni minimo dettaglio di un'evasione destinata a passare alla storia del penitenziario nuorese.

Salto nel vuoto

La cronaca di quel salto nel vuoto è racchiusa in fotogrammi che le telecamere incustodite hanno impresso nella memoria di una regia a quell'ora abbandonata a se stessa. Le immagini sono quelle esterne, con tanto di gesto atletico compiuto con la rapidità della luce, senza nemmeno sfruttare a pieno i nodi delle lenzuola sistemati come scalini, prima per salire e poi per scendere. È una cronaca che si commenta da sola, con tanto di caduta rovinosa ma indolore, sino a quella corsa forsennata verso il primo angolo utile per sparire verso l'innesto con la strada che porta dritti sulla diramazione centrale nuorese. Sono i fotogrammi di una fuga impressionata dall'esterno, documentata per dieci metri d'altezza e venti di lunghezza, sino al buio, quello che è calato dopo le 18 di venerdì intorno a quel carcere che fu di Francis Turatello, Renato Vallanzasca, Luciano Liggio, Antonio Iovine, Pierluigi Concutelli e Graziano Mesina. Le primule rosse finivano tutte lì, a smaltire ergastoli e "fine pena mai". Ora il carcere dei mafiosi, camorristi, delle ‘ndrine, della Sacra Corona unita e dei terroristi più efferati non è più inviolabile. Anzi, di colpo, il terrore dei detenuti è diventato un colabrodo, con varchi inimmaginabili per detenuti rinchiusi nel braccio in teoria più blindato, quello dell'Alta Sicurezza. Quello che stiamo per raccontarvi è il dietro le quinte di una fuga con tanti segreti e mille misteri, tutti racchiusi all'interno di quelle mura di granito che avrebbero dovuto evitare qualsiasi azzardo.

Puzza di "porcilaia"

Eppure Marco Raduano, trentanove anni all'anagrafe, ma già venti da scontare nelle patrie galere, boss mafioso incallito, numero uno del clan dei Montanari della mafia garganica, non voleva correre il pericolo di passare la vita dietro le sbarre della quinta sezione del carcere nuorese, il più tosto di tutti. In arte delinquenziale soprannominato "Pallone", originario di San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia, sapeva che non aveva molto tempo per mettere a segno il colpaccio. I giudici da lì a poco avrebbero potuto assestargli il colpo finale. Dal reparto dell'Alta Sicurezza, già oppressivo, poteva passare in un attimo al carcere duro, quello del 41 bis, venti metri più avanti della stanza d'hotel con le sbarre che lo custodiva sul versante sud della città. Le finestre, non più bocche di lupo, erano uno sguardo perenne sulla via Dessanay, quella della fuga. Per arrivare a quell'ultima rete, prima della strada, però, c'erano almeno tre ostacoli, apparentemente insormontabili: la porta blindata della cella, le sbarre del reparto, l'accesso inviolabile nel cortile verso il muro di cinta. Per le prime due conosceva orari e regole. A quell'ora celle aperte per tutti. Comprese quelle che collegavano un reparto con l'altro. L'ostacolo era quella porta sigillata con tanto di chiave d'ottone, pesante come un randello, varco finale tra le mura interne e quelle perimetrali. "Pallone", però, aveva studiato ogni dettaglio, forse con largo anticipo. Aveva quasi tutto scolpito in testa, ogni minimo passaggio di quella fuga che solo nei film poteva essere gestita con un copione senza intoppi. Le immagini dello scavalcamento del muro di cinta sono ormai un best seller per social e media, quelle interne, invece, quelle che raccontano il trapasso dalle mura di granito al cortile, sono top secret.

Tutte le falle

È in quei fotogrammi, quelli registrati dalle telecamere piazzate un po' ovunque dentro il carcere, che si cela il mistero della fuga di questo capomafia, finito non per caso nella Cayenna sarda. I soloni di Stato, qualche anno fa, imposero anche nelle carceri di massima sicurezza la vigilanza passiva, telecamere e regia, per sostituire uomini e agenti penitenziari. Lui, "Pallone" lo sapeva perfettamente. Aveva cronometrato varchi temporali, buchi di guardiania nella regia televisiva del grande fratello del carcere. Sapeva che a quell'ora poteva osare, dove mai nessuno aveva nemmeno tentato. Il video impressionato intorno alle 17 lo racconta sereno, come se quella rampa di scale che sta percorrendo all'interno della quinta sezione lo stesse portando dritto verso il paradiso della libertà. Quando sale al piano superiore sa cosa sta cercando. Gli manca il "passepartout" per aprire la porta finale. Se l'è andata a prendere, proprio dove sapeva che fosse nascosta. I fotogrammi lo immortalano mentre preleva la chiave. Gli zoom lo seguono mentre scende, lo cristallizzano ne l frangente in cui, una volta arrivato al piano inferiore, si accorge che la chiave è quella sbagliata. Non si perde d'animo. Con la flemma di chi sogna quel prato verde all'esterno dove ruzzolare rovinosamente, risale per le scale, sempre seguito dalle telecamere passive, preleva la chiave giusta e riconquista la porta del paradiso, quella che gli consente di lasciarsi alle spalle il penultimo muro della sua segregazione. A quel punto, nascosto chissà quando, prende da un lato della porta quel rotolo di lenzuola, con un gancio d'acciaio sagomato per avvinghiare la vetta del muro perimetrale. Un gancio prodotto all'interno del carcere, in un unico reparto capace di quei lavori, quello dei detenuti Mof, Manutenzione ordinaria fabbricati. All'estremità degli otto metri di lenzuola il gancio ha la forza di una cima per agganciare la vetta del muro. L'operazione è fulminea. Un lancio, una rapidissima scalata, un attimo per posarsi a cavalcioni sopra il muro di cinta, ribaltare sul fronte esterno il gancio e le lenzuola e gettarsi oltre il confine del carcere. Trenta passi veloci. Tutto sotto gli occhi vigili di una telecamera che nessuno, però, sta guardando. Ad attenderlo c'è sicuramente un basista. Sono le 18. In tempo per gettarsi nel buio della 131 dcn, con una meta segreta e una variabile di non poco conto, il mare, da attraversare entro la notte, prima che l'allerta possa scattare anche oltre il Tirreno. Ultimo dettaglio, il capo clan aveva in carcere una disponibilità finanziaria evidente. Una fuga che non poteva realizzare da solo. Lo cercano ovunque, ma per adesso non lo trovano.

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