Mentre si attende l'esito degli interrogatori di garanzia, inquietano i contenuti di alcuni messaggi che furono ritrovati, poco dopo il delitto sul cellulare di Dina Dore. La donna li scambiava col marito. "Stavo bruciando una scrofa morta, s'attera borta pio a tue", la prossima volta brucio te. E' il contenuto di uno sms inviati da Francesco Rocca e pubblicati su L'Unione Sarda nella lunga ricostruzione della tragedia che ha portato alla morte di Dina Dore. Giovedì la svolta: la donna sarebbe stata uccisa dietro mandato da suo marito Francesco Rocca.

LE INDAGINI - Ci sono voluti quattro anni e undici mesi per fare piena luce su uno dei delitti che, non solo nel nuorese, suscitò un'indignazione generale: l'uccisione a Gavoi di Dina, giovane mamma di 37 anni, trovata morta otto ore dopo la sua scomparsa dentro il cofano della Punto rossa parcheggiata nel garage di casa. Un tentativo di sequestro a scopo di estorsione finito nel sangue, si ipotizzò nelle primissime fase delle indagini, consumato sotto gli occhi della figlioletta allora di pochi mesi, e da oggi affidata alla sorella della vittima.

Poi l'inchiesta, coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Cagliari e affidata alle Squadre Mobili di Cagliari, comandata dal dirigente Leo Testa, e di Nuoro, guidata da Fabrizio Mustaro, ha imboccato piste diverse. Sino all'epilogo di ieri mattina. Il marito della vittima, Francesco Rocca, dentista di 43 anni, è stato arrestato e indicato come il mandante dell'omicidio. Avrebbe commissionato a due giovani killer del paese per disfarsi della moglie da cui voleva separarsi. Uno dei presunti autori materiali del delitto, Pietro Paolo Contu, minorenne all'epoca dei fatti, oggi ventitreenne, è già in carcere, il complice invece deve essere ancora identificato.

L'accelerazione alle indagini risale all'autunno scorso quando gli inquirenti cagliaritani si spostarono a Nuoro e Gavoi per una serie di interrogatori: sentirono nuovamente il marito, i familiari della vittima e molte persone del paese. Accertamenti e riscontri puntuali che hanno consentito alla Procura, alcuni mesi più tardi, di chiedere e ottenere l'ordinanza di custodia cautelare in carcere per Rocca e Contu firmata dal Gip di Cagliari Giorgio Altieri.

Il quadro è ancora indiziario, ma gli elementi raccolti sono risultati sufficienti per far scattare gli arresti. Decisive sono state alcune intercettazioni telefoniche, una lettera anonima e la 'confessione' del presunto killer a un amico, poi arrivata alla famiglia di Dina Dore e da qui direttamente alla Polizia. Rocca, dal pomeriggio di ieri, dal carcere cagliaritano di Buoncammino, ha respinto tutte le accuse. "Sono innocente, questo è un incubo", ha detto al suo difensore, l'avvocato Angelo Manconi.

Ma ad incastrarlo ci sarebbe, in particolare, lo sfogo telefonico con una donna che nell'ordinanza viene indicata come la sua amante: "Ha avuto la fine che meritava, è terribile e macabro che io lo dica, ma peggio per lei", dice il dentista parlando della moglie ormai defunta. Nella conversazione il dentista spiega alla donna che un giorno avrebbe capito cosa lui aveva fatto per il suo amore.

C'è poi agli atti una lettera anonima trovata dalla sorella della vittima sul parabrezza dell'auto di famiglia. Gli autori, tuttora ignoti, indicavano in Rocca e Contu i responsabili del delitto sottolineando che "molte persone sono a conoscenza dei fatti". Nella stessa lettera si dava conto di circostanze e orari precisi: il marito di Dina Dore avrebbe trasportato il presunto killer dentro il cofano della sua auto sino al garage di casa alle 14.30 del 26 marzo. Contu sarebbe stato quindi lasciato all'interno dell'autorimessa: l'intento era quello di prelevare la donna e portarla in un casolare vicino al lago di Gusana, ma la reazione della vittima ha scombinato i piani e l'aggressione si è trasformata in un efferato delitto. Dina Dore morì per asfissia dentro il cofano della macchina: aveva mani e piedi legati, incerottata sul naso e sulla bocca. Vicino a lei, sul seggiolino, la figlioletta di appena 8 mesi.

LA CONFESSIONE - Sarebbero state le confidenze del presunto killer di Dina Dore, l'operaio di 23 anni Pietro Paolo Contu, a mettere la pulce all'orecchio degli investigatori. Lo si apprende dall'ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere i due indagati. Contu, piegato dai sensi di colpa, avrebbe raccontato tutto ad un suo amico il quale a sua volta, comprendendo l'enormità del fatto, si sarebbe liberato di questo peso svelando il terribile retroscena a suo padre. L'uomo avrebbe subito contattato uno dei familiari di Dina Dore, il cognato, marito della sorella, che lo avrebbe quindi riferito alla Polizia. Da qui l'avvio di tutti gli accertamenti che oggi hanno portato alla svolta.

RICOSTRUZIONE SU VIDEOLINA - Come correlato, c'è la prima parte della trasmissione "Col senno di poi", dedicata al delitto di Dina Dore. Per rivedere l'intera puntata, su www.videolina.it selezionare "programmi" e, quindi, "Col senno di poi".
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