Treni «Swing» ma la musica non cambia
Un giro infinito dalla Toscana alla Sicilia per carrozze nuove su binari sempre vecchiPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Solcheranno lo Stretto di Scilla e Cariddi quando la clemenza del mare lascerà il passo, forse domani o dopo. Attraverseranno stancamente su rotaie galleggianti il vortice mitologico che collega la Calabria con la Sicilia, Reggio con Messina. L'impresa è titanica, come si conviene ad ogni viaggio da e per la Sardegna. Supereranno, se le correnti, i gorghi e le acque fredde che congiungono il Tirreno e lo Ionio lo consentiranno, l'ultimo tratto di mare a bordo di un vecchio traghetto delle Ferrovie dello Stato.
700 giorni di ritardo
C'è fretta, nonostante i 700 giorni di ritardo segnati in rosso nel calendario dei contratti non rispettati. La maratona silenziosa è da manuale epico.
La carovana è in marcia da giorni, lungo tutto lo Stivale, dalla stazione all'ombra della Torre pendente, nell'antica Pisa, attraversando le vestigia romane, percorrendo la Campania e tutta la costa calabra, sino al porto di Villa San Giovanni, a ovest di Reggio Calabria, attraversando poi lo Stretto sino a Messina per armare la nave di tutto punto e solcare il Tirreno sino a Golfo Aranci. Insomma, una sorta di giro del mondo per arrivare in Sardegna. Se uno la racconta, in pochi ci credono. La realtà, però, supera e di molto la fantasia. Alla stazione "Pisa Centrale" sono le dieci del mattino, è fine settembre. Dieci giorni dopo l'inchiesta de L'Unione Sarda che aveva denunciato il caso dei treni spariti, un convoglio senza destinazione, ignorato dal time line dei monitor, è stato miracolosamente ormeggiato sui binari in attesa del suo turno. A trainarlo le locomotive elettriche E 464.146 e 147. Sì, elettriche, perché in Italia i treni si muovono così. A traino ci sono carrozze diesel, apparentemente fiammanti, con una destinazione non dichiarata.
Passaparola
Il passaparola ferroviario, però, lascia scorrere qualche indiscrezione: destinazione Sardegna. Non esiste comunicazione formale, tutto sottotraccia, come si conviene a chi silenziosamente deve tentare di portare nell'Isola quel bastimento ferroviario che da tempo era stato abbondantemente e inutilmente preannunciato. Agganciati alla trazione elettrica ci sono quattro Atr 220, dallo 045 allo 048, targhe di riconoscimento nel mare magnum di queste carrozze grigio topo che scorrono dovunque, tranne che in Sardegna. Sono gli "Swing", quelli di Pesa, la fabbrica ferroviaria polacca che si è aggiudicata una copiosa fornitura per le Ferrovie dello Stato. Le FS ne hanno comprato a grappoli, disseminati in giro per l'Italia. Gli ultimi li aveva messi nero su bianco nel contratto di servizio con la Regione Sardegna. Doveva essere il cuore dell'intesa monopolistica tra i binari di Stato e l'Isola dei treni lenti e da rally.
Soldi in carrozza
In realtà l'allegato cinque del contratto è stato secretato, per ragioni di primato tecnologico da tutelare. L'unica certezza erano i soldi: 87 milioni di euro, compresi i 9,4 della Regione. Tutti destinati all'acquisto di 18 treni diesel, 10 del tipo "Swing", con consegna prevista nel 2018 e otto treni di nuova concezione da consegnare nel 2020/21. Nelle giustificazioni da ritardo cronico non c'è lockdown che tenga. Con due anni di ritardo, dei dieci "Swing", ne arriveranno in Sardegna nei prossimi giorni, Scilla e Cariddi permettendo, appena quattro. Silenzio assoluto sugli altri sei e soprattutto su quelli di ultima generazione, quelli della Hitachi, persi chissà dove, tra i meandri dei contenziosi giudiziari e l'atavica logica che la Sardegna può attendere.
Mille chilometri
Il viaggio esilarante dei quattro treni destinati al porto di Golfo Aranci è la fotografia esatta dell'attenzione ferroviaria dello Stato verso l'Isola. Oltre mille chilometri di percorso su binari per portare da Pisa a Messina quei quattro "Swing", per poi imbarcarli su "Scilla", il traghetto con binari delle Ferrovie dello Stato, chiamato alla lunga attraversata da Villa San Giovanni verso Terranova Pausania, oggi Golfo Aranci.
Da Scilla a Golfo Aranci
Un tragitto di 1600 chilometri per arrivare in Sardegna, roba da non credere. Intermodalità da terzo mondo, per una regione insulare ultra-periferica senza alcuna interconnessione ferroviaria con la terra ferma. La constatazione è disarmante: anziché andare avanti, in questa povera terra ai confini con l'Africa, si ritorna indietro con la negazione anche del più elementare attracco di navi merci ferroviarie. L'isolamento attuale lascia amaramente rimpiangere il passato.
Il primo viaggio nel 1928
Il primo traghettamento di convogli ferroviari verso la Sardegna è nientemeno che del 1928. La solerzia di allora era legata al trasferimento nell'Isola di nuovi treni e fiammanti locomotive a vapore, tutte a scartamento ordinario. C'erano da sostituire i mezzi della vecchia Compagnia Reale delle Ferrovie Sarde. Il collegamento era tra Civitavecchia e l'antico attracco di Olbia. Il trasbordo rispetto ad oggi fu ciclopico.
90 locomotive a vapore
In diversi viaggi furono spediti in Sardegna 90 locomotive a vapore, 50 carrozze viaggiatori e 1300 carri merci. Per arrivare ad un collegamento ferroviario stabile bisognerà, però, attendere il primo agosto del 1956 e un presidente del Consiglio sardo, Antonio Segni, prima di diventare presidente della Repubblica. La tratta individuata fu quella più breve, 115 miglia, come era logico che fosse, collegando il porto di Civitavecchia con quello a nord di Olbia, Golfo Aranci. La "Tyrsus", nave delle Ferrovie dello Stato, inaugurò la tratta il primo ottobre di 59 anni fa.
Traffico al collasso
Un anno dopo l'incremento del traffico ferroviario indusse a varare una nave gemella, l'"Hermaea". La frequenza di sali e scendi, con doppia partenza giornaliera fu un successo. In quattordici mesi erano stati trasportati 20.000 carri merci. Si arrivò ben presto al congestionamento della tratta e si dovette limitare il servizio, anziché implementarlo. Nel 1965, entrò in servizio la terza nave, la "Gennargentu", quattro anni dopo la quarta, la "Gallura". A dimostrazione che quando c'è l'offerta si sviluppa anche la domanda. Tutto questo sino al 2008, l'anno della fine.
Privata con soldi pubblici
La privatizzazione, con soldi pubblici, della società di Stato non lasciò scampo alla Sardegna: il 30 giugno di dodici anni fa le ferrovie dello Stato annunciarono la fine del traghettamento ferroviario con l'Isola. Obiettivo alta velocità, altrove, non in Sardegna. Due anni fa, il 28 maggio del 2018, per evitare che a qualcuno ritornasse in mente la malsana idea di riattivare il collegamento ferroviario tra il Continente e la Sardegna, a Civitavecchia hanno letteralmente smantellato binari, pontile e approdo.
Traghetto vuoto
Arriverà "Scilla" nelle prossime ore, nonostante tutto, con i treni musicali ma diesel, nuovi, ma sarà vuota o quasi. Il traghetto, classe 1983, quattro binari in stiva, può contenere, infatti, 16 treni. Ne trasporterà solo quattro, a caro prezzo. E pensare che il contratto con la Regione sarda è del 23 agosto del 2017. Negli annunci di allora viale Trento si sperticò per far credere imminente l'arrivo di quei treni. I comunicati ufficiali parlarono di inizio 2018 per l'arrivo dei "Swing" (161 posti sedere ognuno).
Ne mancano quattordici
Siamo, ormai, al 2020 inoltrato e ne sbarcheranno quattro dei 18 complessivi previsti dal contratto. Velocità massima di crociera 130 chilometri all'ora, molto meno di quella prosopopea ferroviaria annunciata con i treni veloci. Gli Atr 365, pagati 80 milioni di euro dalla Regione, quelli che dovevano oscillare e non hanno mai oscillato, erano stati copiosamente pagati per andare a 180 km/h e finirono per non poter superare i 150, come prevede il rango C della rete ferroviaria della Sardegna. In realtà tengono una media di 90 all'ora.
Andamento lento
In realtà la musica, però, non cambierà nemmeno con i "Swing". Nell'Isola dei Nuraghi servono binari moderni ed efficienti. Per adesso tutti comprano treni, molto spesso inutili, lenti e in ritardo, e non stanziano un euro, vedasi Recovery Fund, per raddrizzare binari e eliminare pendenze. Per i treni sardi, per adesso, non resta che invocarsi alla clemenza di Scilla e Cariddi.
Mauro Pili