Il sollevamento popolare in Sardegna è stato unanime: no al deposito nazionale delle scorie nucleari. Dai cittadini ai sindaci delle aree individuate a quelli dei comuni non toccati dal progetto della Sogin (la società dello Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare) è stato un NO corale alle scorie.

"I sardi possono stare sereni, il deposito nazionale ha pochissime probabilità di essere individuato nell'Isola". A dirlo, Piero Risoluti, uno dei maggiori esperti italiani di materiali radioattivi, che ha esposto alcune delle sue tesi nel libro "Il deposito italiano delle scorie radioattive. Dove? 18 anni di tentativi" (uscito nel 2015 per Armando Editore).

Responsabile della Task Force per il Deposito che costituì l’ENEA nel 1997, ex consulente Sogin per le attività relative alla realizzazione del Deposito Nazionale dei Materiali radioattivi e in precedenza componente della commissione tecnico-scientifica per la valutazione e vigilanza sulle attività di messa in sicurezza di materiali nucleari e smantellamento degli impianti nucleari, Risoluti ritiene che l'Isola non possieda i requisiti richiesti: "Il luogo prescelto - spiega - sarà quello in cui si eviteranno problemi inutili".

Quali esattamente?

"Innanzitutto problemi logistici di trasporto. Le isole erano state escluse da noi - quando all’ENEA ci occupammo del Deposito - per la necessità del trasporto via mare, che tuttavia dobbiamo dire oggi si svolge in sicurezza, ma soprattutto perché richiederebbe anche la costruzione di depositi per l'imbarco e lo sbarco delle scorie nei porti di partenza e arrivo, e di un naviglio dedicato. E inoltre perché si tratterebbe di viaggiare sulle stesse rotte utilizzate per il turismo. Le contestazioni sarebbero inevitabili".

I sardi non vogliono il deposito, paura ingiustificata?

"La parola 'nucleare' riporta a eventi poco piacevoli. Ma alla base c'è anche scarsa conoscenza della materia. Bisogna tener presente che ciò di cui parliamo è roba inerte, non ci sono alte temperature o pressioni che possano creare pericolo, come in centrali nucleari. Paradossalmente, un distributore di benzina inquina più di un deposito di scorie radioattive. Per essere chiari: l'associazione di idee con quanto accaduto a Chernobyl, che spesso viene ricordato, non ha nulla a che vedere con questo caso".

Il deposito potrebbe rappresentare qualche opportunità?

"Opportunità? La Sardegna farebbe la sua fortuna. Il primo Comune che dovesse accettare di averlo sul proprio territorio potrebbe farsi fare dallo Stato persino marciapiedi d'oro, e con la sicurezza assolutamente garantita. Potrebbe chiedere qualunque cosa, e lo Stato gliela darebbe".

Cosa ci "guadagnerebbero" i sardi?

La realizzazione del deposito definitivo comprenderà anche impianti per lo stoccaggio di lungo periodo dei rifiuti a vita lunga, i quali per decadere richiedono centinaia di migliaia anni. Si tratta quindi di un complesso impiantistico di alto livello tecnologico. Non dobbiamo pensare a una discarica, come spesso viene definita dalla stampa, ma a un sito ad alta tecnologia. Non dimentichiamo che la legge prevede inoltre la realizzazione di un Parco Tecnologico, che comporterà anche attività scientifiche diversificate e occupazione qualificata. I depositi che sono stati creati in Spagna, in Francia o in Svezia sono oggetto di continue visite da parte di scienziati e tecnici di mezzo mondo, e persino di scolaresche. C'è poi tutta la questione dell'indotto. Insomma milioni e milioni che lo Stato sborserà e la Regione potrà chiedere e ottenere università, strade, strutture, solo per fare alcuni esempi. Per non parlare del tema sempre molto sentito, ossia quello del rientro dei cosiddetti 'cervelli in fuga', quei sardi che attualmente sono costretti a lavorare all’estero perché nell’Isola per loro non c’è alcuna possibilità".

Solo vantaggi, siamo sicuri?

"La Sardegna, questo è importante, ospiterebbe un centro tecnologico di livello internazionale. Non è facile da comprendere, perché a volte il sentimento che prevale è quello della paura, data dalla non conoscenza e spesso anche dalla non buona presentazione del progetto anche dal punto di vista mediatico. Quello che i sardi avrebbero comunque il diritto di chiedere è quale soluzione si prevede per quei materiali che verranno stoccati provvisoriamente prima del deposito definitivo, cioè i 'rifiuti a vita lunga', quelli cioè che sono destinati al deposto geologico".

La Sardegna è una terra dall'enorme valore naturalistico; come si concilierebbe un eventuale deposito con la tutela di questo patrimonio?

"La flora e la fauna non vengono in alcun modo interessate da questi 150 ettari usati per lo stoccaggio, non ci saranno emissioni di gas e nessun aumento della temperatura. Insomma nessuna conseguenza, anzi: i centri che esistono sono diventati essi stessi giardini, arricchiti quando necessario con altri elementi di flora. Parliamo quindi di un'area che sarebbe ancora più tutelata di un parco nazionale, con migliaia di ettari preservati".

E la protezione dei siti archeologici?

"Non esiste un'incompatibilità. Addirittura si potrebbero mettere in luce, sempre a spese dello Stato. Si possono anzi valorizzare di più, e la Regione può chiederlo. Per esempio sistemi di protezione per meglio conservarli, percorsi per visitarli in modo da sfruttare meglio il turismo... E con complete garanzie sulla sicurezza per quelle aree".

Quali sono i tempi per la costruzione?

"Non sono tempi i tecnici quelli che sono decisivi, ma gli anni necessari per ottenere il consenso sociale. In generale, per fare un deposito geologico occorrono circa 30 anni. Il deposito previsto in Italia, che idealmente potrebbe essere creato in Sardegna, non è di tipo geologico, Se togliamo il problema dei tempi per l’accettazione sociale, parliamo di 4 o 5 anni. Magari sei, sette al massimo".

Se tutte le regioni individuate dovessero dire "no al deposito", cosa succederà?

"Si dovrebbe innestare una procedura 'autoritaria', che si concluderà dopo varie fasi con un decreto del ministero dello Sviluppo economico per la scelta del sito. Ma questa per me è una soluzione poco probabile. Trovo molto difficile che si possa concludere con una procedura di tipo impositivo. A questo punto le posso confidare una mia personale opinione: il deposito in Italia non si farà mai, per lo meno per qualche decennio, perché farlo richiede un minimo di condivisione che noi italiani non abbiamo. Litighiamo sui vaccini, figuriamoci sul resto... I ricorsi al TAR si sprecheranno, e sono convinto anche che, prima o poi, qualche Procura non resisterà alla tentazione di andare a indagare sui requisiti individuati per la ricerca del sito. Alla fine lo Stato potrebbe gettare la spugna e rinviare il tutto a tempi migliori".

***

LEGGI ANCHE:

Solinas: "Ennesimo oltraggio alla Sardegna"

Il deposito: come viene realizzato
© Riproduzione riservata