Siccome per noi poveri cittadini le sorprese non finiscono mai, sembra proprio che da gennaio, salvo benedette ed auspicate modifiche, nell’ipotesi di mancato pagamento delle imposte locali, come l’IMU e la TARI, i Comuni, ovvero gli Enti Locali, potranno riscuotere non solo forzosamente, ma soprattutto più velocemente, i tributi di propria pertinenza non versati.

Tanto sembra prevedere l’articolo 96 della Legge di Bilancio 2020 rubricato “Riforma della Riscossione degli enti locali”. Ma cosa significa esattamente?

E’ presto detto: significa puramente e semplicemente che gli Enti Locali, al solo scopo dichiarato, ed è questo secondo me l’aspetto più drammatico, di rendere più veloce l’azione esecutiva per recuperare i tributi locali ipoteticamente non pagati, potranno pignorare il conto corrente del malcapitato senza dover attendere l’iscrizione a ruolo del debito e la notifica al contribuente della sempre temuta cartella esattoriale. Roba da non credere. Che fine ha fatto il principio sacrosanto di leale collaborazione tra contribuente e pubblica amministrazione? E’ costituzionalmente, prima ancora che moralmente, legittimo, procedere forzosamente al recupero di un credito in assenza di un accertamento preventivo in contraddittorio a garanzia del cittadino incalzato dall’Ente? L’esigenza dello Stato di combattere l’evasione fiscale e di addivenire alla massima semplificazione delle procedure può davvero essere ritenuta preminente rispetto al sacrosanto diritto di difesa del cittadino? Il contenuto di questo articolo 96 è un novità assoluta oppure si pone in linea e in aggiunta ad altre norme che già prevedono forme di riscossione coattiva che bypassano il preventivo controllo giudiziale? A volte, anzi sempre negli ultimi anni, mi domando se chi ci governa sia consapevole di quale sia la situazione economica del paese oppure viva in un’altra dimensione completamente avulsa dalla realtà circostante. Intanto, perché lo strumento in adozione a nulla serve sul piano della lotta all’evasione fiscale dal momento che sembrerebbe colpire severamente unicamente i piccoli presunti evasori con debiti fino a diecimila euro e non, invece, i grandi elusori che continueranno ad avvantaggiarsi, per così dire, dei tempi tecnici del procedimento. Quindi, perché, volere volare, la nostra Carta Costituzionale, la più bella del mondo, come giustamente la definì Roberto Benigni, sebbene sembri sia più comodo non farci caso, prevede in argomento tre articoli fondamentali, quali l’articolo 53 sulla capacità contributiva e la conseguente progressività della imposizione fiscale, l’articolo 54 sul rapporto di fedeltà tra il cittadino e lo Stato, e il notissimo articolo 97 sulla imparzialità della pubblica amministrazione, il cui enunciato ed il cui valore semantico, sembrerebbe porsi in contrasto con ogni forma di eccessiva contrazione di qualsivoglia procedimento di accertamento diretto alla riscossione tributaria il quale, per converso, dovrebbe essere ispirato alla massima prudenza ed al maggior possibile garantismo. Inoltre, perché perfino la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, al suo articolo 41, rubricato significativamente “Diritto ad una buona amministrazione”, prevede a chiare lettere il diritto di ogni persona ad essere “ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio”.

Poi, perché la norma in discorso riflette una contraddizione pericolosissima fra quelli che sono i principi costituzionali fondamentali a tutela dei cittadini e l’agire politico dell’ultimo quarantennio diretto a perseguire, invece, il massimo interesse personale. Infine, perché queste forme di riscossione “veloce” sono tutt’altro che una novità dovuta al governo giallo rosso se solo si pensa che esiste da decenni oramai il c.d. pignoramento presso terzi esattoriale e stragiudiziale di cui spesse volte si è avvalsa, e si avvale ancor oggi, la Agenzia di Riscossione, ex Equitalia, il quale ignora completamente la fase giudiziale consentendo, appunto, all’Istituto di Riscossione, di pignorare direttamente i conti correnti dei soggetti interessati che, se capienti, a prescindere da ogni valutazione sulla effettiva esistenza del debito e/o del suo reale ammontare, vengono per così dire depauperati dell’importo preteso dal creditore procedente.

Come mai però al proposito nessun politico, curiosamente nemmeno Salvini o Meloni così attenti a puntare il dito solo sull’attuale maggioranza giallo rossa, ha gridato in passato o grida oggi allo scandalo? Solito opportunismo di facciata? Oppure in fondo le tasche maltrattate degli italiani sono solo un argomento da tirare fuori all’abbisogna? Le tasse vanno pagate, ma vanno pagate nella giusta misura ed eventualmente accertate all’esito di un contraddittorio pieno tra le parti, ossia cittadino e p.a., se si vuole davvero arginare la crescente tendenza ad accrescere la sottomissione del cittadino allo Stato. Sembra un Paese pensato alla rovescia: si fa di tutto per far stramazzare la povera gente senza far nulla per favorire la crescita economica. Per pagare occorre guadagnare. Se non si guadagna l’emergenza non è pagare le tasse, che pure vanno pagate, ma portare il pane a tavola. “A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”, ma nella situazione contingente, per quanto la legge di bilancio sia in realtà la meno peggio che si potesse adottare, e malgrado qualcuno non perda occasione per fare inutile e sterile propaganda, sarebbe stato necessario adottare atteggiamenti rassicuranti verso la popolazione utili a fugare quel sentimento di malcontento interiore che ingenera disamore verso le istituzioni. Fino a quando la gente sarà costretta a scegliere tra il proprio sostentamento o il versamento dell’imposta non si potrà realmente parlare di vera democrazia.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)

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