Ivano Peddis ha 23 anni, sta concludendo la triennale in Beni Culturali e ha cominciato a seguire le lezioni della magistrale in Storia. Ma salvo novità i suoi studi sono in freezer per i prossimi tre anni. La settimana scorsa a Cagliari insieme ad altri cinque militanti di Ultima Generazione si è seduto sull’asfalto di via Roma fermando il traffico: adesso per lui e un’altra partecipante, oltre alla denuncia per blocco stradale e manifestazione non autorizzata, c’è un foglio di via della Questura. Fino al 2026 non può tornare a Cagliari, quindi niente lezioni né incontri coi docenti. Paradossalmente, se fosse detenuto il suo diritto allo studio per certi versi sarebbe più tutelato. Dopo aver consultato la sua legale, Giulia Lai, ha subito presentato ricorso e intanto studia a casa, a oltre 50 chilometri dall’ateneo, lima la sua tesi in archeologia medievale e si dice «abbastanza ottimista, solo che non sappiamo quando avremo risposta».

Perché l’ottimismo?

«Ci sono dei profili di illegittimità evidenti».

Per esempio?

«Siamo iscritti all’università di Cagliari e questo foglio di via non può essere emesso per persone che studiano o lavorano nel centro da cui li si allontana. E poi quando cita la “pericolosità sociale”: noi siamo tutti incensurati».

Non si possono seguire le lezioni da remoto?

«No, la didattica a distanza è finita insieme alla pandemia».

Non avete esplorato questa possibilità con l’ateneo?

«No. Però dall’ambiente dell’università ho avuto molta solidarietà: da colleghe, colleghi, professori e anche da componenti degli organi centrali, privatamente. E so che venerdì alle 10 alla cittadella di Monserrato ci sarà un presidio di solidarietà».

Più d’uno dice che ve la siete cercata.

«In realtà abbiamo avuto solidarietà anche da molte persone che hanno detto esplicitamente di non condividere il nostro metodo ma trovano esagerata la reazione della questura. A chi pensa che ce la siamo cercata dico che ci siamo seduti anche per loro, e che non lo avremmo fatto se le altre strade fossero state fruttuose. Anche io ho sempre firmato petizioni, partecipato a manifestazioni e cortei: non è servito. Perciò servono degli atti eclatanti, anche se ovviamente sempre nonviolenti. Le persone che ci criticano – legittimamente, sia chiaro - dovrebbero scendere in strada anche loro, e fare attenzione a una cosa: oggi è successo a noi di subire questa ripercussione, ma le leggi si stanno sempre più inasprendo e domani potrebbe succedere a loro per cose ancora minori».

Impedire a dei cittadini di spostarsi non è violenza?

«No, non credo. A parte che non siamo i primi né saremo gli ultimi a utilizzare questo metodo, visto che i pastori pochi anni fa hanno fatto lo stesso, comunque nella nostra azione non c’è violenza. Noi siamo semplicemente seduti lì, con i nostri corpi, non è che affrontiamo le persone dicendo “Tu non passi”. E poi il disagio quanto dura? Mezz’ora? Mi sembra che limiti molto di più il cantiere di via Roma, o la parata del 4 Novembre che oltre alle auto ha bloccato pure i bus. Noi la corsia dei mezzi l’abbiamo lasciata libera, anche per le ambulanze».

La vostra azione non rischia di rendere antipatica la vostra causa?

«I pastori non mi sembra che abbiano perso simpatie fra la gente. Noi chiediamo un fondo di riparazione per le persone colpite dalle catastrofi climatiche ed è una cosa che riguarda tutti, sinistra e destra, automobilisti e non automobilisti. Quanto al disagio, ne creano anche gli scioperi, che infatti il governo cerca di limitare e di rendere inutili. Ma quando un ferroviere sciopera non lo fa solo per sé e per il suo stipendio, lo fa anche per dare un miglior trasporto pubblico alla persona che quella mattina non può prendere il treno. Noi non ci sediamo in strada per motivi ideologici: un’alluvione può distruggere anche la casa e l’azienda di chiunque, il ciclone Cleopatra ha distrutto strade e ponti che non sono ancora stati riparati. E il foglio di via possono darlo a noi, ma non a un ciclone».

Celestino Tabasso

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