Qualcosa di immorale dev’esserci per forza, se esiste un pezzo di città che se non fosse per i fari di un’auto neanche si vedrebbe. Dove i lampioni non fanno luce e sembra essersi spento pure lo spicchio di luna. E se per sbaglio ci guardi dentro trovi le esistenze stropicciate di chi tiene la vita dentro uno zaino e ha per tetto un cavalcavia, e lo dice quasi scusandosi che la fede non l'ha persa, ma il problema è - evidentemente - un altro: «Dio è uno, noi siamo tanti».

Gli invisibili

No, non va in ferie la povertà. Che in una notte senza fine e appiccicaticcia incontri un uomo nudo sotto un albero di fico che dice di aver fame, e due giovani ragazze arrivate a barattare corpo e dignità («perché a volte non ci sono alternative»). E allora pensi che l'inferno non sia poi così ultraterreno: finisci per toccarlo con mano, quando decidi di trascorrere una sera a bussare a porte invisibili, sfidando il caldo che sotto i ponti è pure più feroce, mentre cerchi di far lo slalom tra le vite incastrate di chi la giocata buona è quella che arriverà. Non certamente oggi.

Preghiere e vergogna

Mezz’ora dopo le 20, il primo incontro è con gli occhi arrabbiati di Giuseppe, 71 anni, rosario al collo, un passato da muratore e quello mai concluso con la droga. «Oggi non è giornata», dice mentre ringrazia e manda un bacio con la mano dalla camera da letto allestita sotto l'Asse Mediano; con l'edera che fa da parete e un topo per coinquilino. Ultimo trasloco, dopo lo sfratto dalla capanna tirata su dentro il cortile dell'ex Motel Agip, che attende una rinascita anche lui. Non dà tregua l'afa opprimente, neanche quando undici minuti dopo le 21, finita da un pezzo l'ultima messa della sera, in viale Sant'Ignazio c'è chi ancora prega. «Sono buttato in strada come un cane. Cosa si prova? Impotenza»: abbassa lo sguardo, Stefano, originario di Sant'Antioco, un'ex moglie («Meno male, altrimenti mi costringerebbero pure a versarle gli alimenti che non ho neanche per me») e residenza nella seconda panchina a scendere. Si fa amicizia, pure tra disperati. Ed è una gara a chi sta peggio; con l'assortimento di sventure che si finisce per confessare al vicino di cartone. Non è il caso di Matteo, arrivato da Ponza e finito per strada per «storie di famiglia», che se provi ad andare più a fondo ti trovi davanti a un irremovibile «cose lunghe».

Droga e disperazione

Continua a crescere, il campeggio della disperazione spuntato troppe estati fa sotto il cavalcavia della 195; fronte poste e lontanissimo dalla civiltà che corre veloce sopra la testa. Col rumore dei motori che rimbalza sul cervello e tra i piloni di cemento, mentre Luna e Marta, vanno a casa: una tenda e un compagno a testa, di cui uno momentaneamente assente «per cose vecchie». Sono arrivate a fare il mestiere più antico del mondo: la seconda ha gli orecchini a cerchio e dice che da cinque giorni è ferma, mentre l'altra, in piena crisi d'astinenza, combatte anche con mostri in carne e ossa; quelli che non sono frutto delle sostanze.

Il dolore

Daniele ha una granata tatuata sul braccio e alloggia in piazza del Carmine. Roberto ha scelto una casa vista mare, dentro il Porto. «Ciao sa sposa, mi manca mia moglie», piange, mostrando il volto di Cristo sul petto. Quello che non ascolta le sue suppliche davanti al dolore per la perdita della moglie uccisa quattro anni fa, da un pirata della strada. Allora viene da credere davvero che l'inferno in terra esista.

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