Gina aveva ben presente il concetto di fidelizzazione. Ai clienti più assidui del suo bordello di via Arquer, nel quartiere Marina a Cagliari, regalava una medaglietta d'argento: da un lato la scritta “Gina Cagliari”, nell'altro la figura di una donna nuda. Sono passati 60 anni da quando è stata firmata la legge Merlin, dal nome della promotrice e prima firmataria della norma, la senatrice Angelina Merlin. Un iter lungo e complesso, iniziato nel '48. Varie resistenze ne fanno slittare l'approvazione sino al 20 febbraio 1958 con il parere contrario dei missini e dei monarchici. Di fatto la Legge 75 sancisce l'abolizione della regolamentazione della prostituzione con la conseguente chiusura delle case chiuse. Un cambio epocale che ha interessato anche il capoluogo e le città più importanti.

Con la Sardegna la senatrice Merlin ha avuto un rapporto particolare. Nel 1926, a 20 anni, fu espulsa dalla scuola italiana dove faceva la maestra elementare e, come prigioniera politica, confinata dal governo fascista per cinque anni prima a Dorgali poi a Orune.

LE CASE DEL PIACERE - Le foto seppiate che ritraggono donne con seni abbondanti e trucco pesante e uomini baffuti non riflettono l'umanità che frequentava i bordelli cagliaritani. Il concetto di prostituzione era ben diverso da quello di oggi. Le ragazze, per lo più, erano povere in canna e arrivavano dall'hinterland, da dove scappavano per sfuggire alla miseria in cerca di fortuna e di un marito. L'illusione svaniva in poco tempo e poi finivano regolarmente sulla strada o nelle case chiuse (chiamate così perché porte e finestre erano sbarrate per impedire che si vedesse cosa succedeva all'interno). Altre erano vedove che vendevano il loro corpo per mantenere la famiglia o donne emarginate con figli avuti fuori dal matrimonio.

La platea dei clienti dei postriboli del capoluogo era eterogenea: studenti alle prime armi, militari in partenza per il fronte, commercianti, paesani in trasferta per la Festa di Sant'Efisio, oreri (perditempo). L'unico requisito per i clienti era avere più di 18 anni, per le lavoratrici non essere sposate.

LA MAPPA - Cagliari città di mare e di commercio è sempre stata terreno fertile per “papponi”, prostitute e uomini in cerca di avventure. A fine '800 case chiuse e “squillo” erano più un problema igienico che di ordine pubblico. Le malattie veneree falcidiavano soprattutto i militari e le donne, tanto che all'ospedale San Giovanni di Dio fu realizzato un reparto per le sifilitiche. Nei registri dell'Ufficio sanitario della Pubblica sicurezza (custoditi gelosamente nell'Archivio di Stato) venivano annotati con estrema precisione i dati delle meretrici. Via San Giuseppe 3, via Preti 1, via Santa Margherita 41, via Montebello 57, via Bastione, via Mercato 32, via Corte d'Appello 24, via Università 28 e via Lamarmora 8 le case della prostituzione visitate dai medici che annotavano lo stato di salute delle ragazze.

GLI ULTIMI BORDELLI - La Prima guerra mondiale ha un impatto anche sul mercato del sesso cagliaritano. Miseria e degrado si riflettono nei bordelli. Altro che case lussuose, belle ragazze e immagini di seduzione. Nelle case chiuse di Cagliari c'era giusto l'essenziale. Spesso l'esterno di queste abitazioni, caratterizzato dal forte odore di urina, era un ring per scazzottate tra ubriaconi e malviventi. In via Roma i marinai americani venivano “catturati” dai ragazzini e indirizzati, in cambio di cioccolato o gomme da masticare, da Gina (quella della medaglietta), al “Patam” (via Cammino Nuovo), e in via Pergolesi, all'angolo con via Rossini. In via Santa Margherita regnava Eleonora, rozza tenutaria che per riportare all'ordine ragazzini turbolenti e clienti troppo focosi e tirchi usava la zirogna (nerbo di bue).

Sino al 19 settembre 1958, quando la legge Merlin entra in vigore e mette per il momento la parola fine alle case chiuse.

Andrea Artizzu

L'INTERVISTA A PASQUALE MISTRETTA (di Paolo Paolini):

VIDEO:

© Riproduzione riservata