È bastato un colpo di spugna per uscire dalla Via della Seta, un decreto di Stato per infilare la Sardegna nel “vicolo cieco” del litio cinese. La storia è tutta da scrivere, ma la strada tracciata è ancora una volta quella della guerra fredda, l’ennesima per mettere le mani su energia e materie rare, dipendenza energetica e nuove supremazie mondiali. Se da una parte lo Stato italiano fa capriole diplomatiche per obbedire ai diktat americani che lo vogliono fuori da qualsiasi accordo strategico con la Cina, dall’altra, lo stesso Stato di Roma, invece, con il silenzio subdolo delle imposizioni a tavolino, pianifica di infilare la Sardegna nel più subdolo vicolo cieco dell’energia, quello cinese.

La Via del litio

Quella via del litio, che dalla Cina orientale, passando per l’Africa più povera, si sta snodando verso il profondo Sulcis è molto di più di un improvvido piano per mettere a stecchetto l’approvvigionamento energetico dell’ultima Isola dello Stivale. Quel traffico di gigantesche batterie al litio che da giorni imperversa sulle strade sarde provenienti da Ningde è una sorta di prova generale, l’incipit di un’invasione straniera in terra sarda. Basta guardarli quei bastimenti carichi di pannelli di silicio provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese. Non esiste un calcolo esatto, ma si potrebbe viaggiare sulla stratosferica cifra dei duecentomila ettari di campi agricoli e non solo da invadere con specchi solari “Made in China”.

La nuova “dipendenza”

L’operazione è su larga scala, senza mai porsi il problema, nemmeno con un minimo di cauzione per il ripristino dei luoghi, prima dell’abbandono dell’Isola stile petrolchimica. Tanto, si potrebbe pilatescamente affermare, è un problema dei figli che verranno, le generazioni di oggi possono continuare a fregarsene. Dalle montagne di silicio spiattellate come se non ci fosse un domani sulle aree agricole del Campidano e della Marmilla, dal Meilogu al Sulcis, passando dal Marghine alla Gallura. Un tempo erano superfici vitali dedite alla coltura di grano e di ogni ben di Dio, ora, invece, sono “inseminate” di cavidotti e pannelli cinesi a volontà. Ma se lo sbarco nell’Isola del silicio fotovoltaico è un affronto consolidato ormai da diversi anni, quello del litio è la nuova frontiera della dipendenza energetica della Sardegna.

Roma docet, Cagliari niet

L’Enel ha una strategia ben chiara: smettere di produrre energia elettrica e affidare l’Isola alle batterie cinesi. Tanto decide tutto l’ex ente pubblico, grazie ad un nefasto decreto di Stato, quello del Governo Draghi. Tutto con il silenzio-assenso della Regione, che non è andata oltre un ricorso amministrativo, negandosi la facoltà, anche costituzionale, di dettare norme nella gestione della partita energetica. Insomma, fanno quello che vogliono le multinazionali straniere, fanno peggio quelle di Stato. La storia delle batterie cinesi è, però, molto più di un assemblaggio di 140 container provenienti dalla lontana Cina e destinati con il tempo a sostituire non solo la centrale Enel di Portovesme. È, in realtà, una vera e propria spy story dove si intersecano affari internazionali, segreti militari e sfruttamento minerario di quelle aree povere dell’Universo devastate senza pudore dai colossi energetici, a partire dalla Cina. Nei container sbarcati a Porto Torres e attraccati al piazzale allagato della centrale Enel del Sulcis c’è una sigla che non lascia margini: Catl, ovvero Contemporary Amperex Technology Co. Limited. In pratica il produttore numero uno al mondo di batterie agli ioni di litio, sia per veicoli elettrici che sistemi di accumulo dell’energia. Un vero e proprio colosso che sta sventrando miniere in ogni angolo remoto del pianeta, dalla Cina alla profonda Africa, per estrarre litio a manetta, quanto ne serve per assumere il dominio totale del mercato mondiale. Dalla Namibia al Congo i cinesi di Catl non fanno altro che stipulare accordi di ogni genere pur di rastrellare Litio a piene mani un po' ovunque nel continente africano. Intese che stanno allarmando tutte le agenzie mondiali che si occupano di trasparenza e legalità in paesi sempre borderline. Le inchieste si susseguono, con le popolazioni locali in subbuglio per quelle estrazioni-rapina di materiale grezzo che lascia l’Africa senza creare né lavoro, tantomeno sviluppo. La corsa al Litio è spasmodica. L’offerta mondiale è attualmente dominata da Australia, Cile e Cina, che insieme rappresentano oltre il 90% delle 130.000 tonnellate prodotte a livello globale nel 2022. Tutti sanno, però, che da qui al 2035 la domanda di litio aumenterà di sei volte. Un rischio infinito, quello di affidare una fantomatica “transizione energetica” a nuove speculazioni mondiali e incontrollati domini economici. E in questa partita la Sardegna sarà cavia e terra sacrificale, come deciso dai Palazzi di Roma. Alla centrale di batterie al litio in fase di costruzione a Portovesme, infatti, ne seguiranno almeno altre otto, con l’Enel coinvolta in gran parte di queste, sia direttamente che indirettamente.

Mappa funesta

La funesta mappa della nuova dipendenza energetica passa da altri 100 megawatt di batterie al litio già autorizzati nella centrale elettrica di Fiume Santo, anch’essa destinata alla chiusura, ai 20 megawatt, con autorizzazione in fase di rilascio, assegnati sempre all’Enel Green Power da realizzarsi a Codrongianus. L’elenco si infittisce per i procedimenti conclusi e in attesa dell’Intesa regionale, una sorta di via libera sardo al “cappio” cinese. Attendono l’ok di viale Trento le batterie da 150 megawatt di Selargius della Whysol-e, ancora più grande quella di Quartucciu da 180 megawatt della EnergyQ1bess, seguono le batterie di Ottana per 25 megawatt della Metka Sardinia Eng, quelle di Furtei e Sanluri da 50 megawatt con quest’ultima, la Bess Sanluri, che indica nella visura camerale una proprietà quanto meno anomala: «Enel Green Power – la quota di 10 mila euro è stata costituita in pegno». È sempre l’Enel Green Power ad attendere il via libera della Regione per la più grande delle centrali a batteria che si vogliono piazzare in Sardegna, quella destinata ad Oristano per la bellezza di 240 megawatt, il doppio di quella in fase di realizzazione a Portovesme. Sempre l’ex compagnia elettrica statale si propone a Nulvi, in questo caso batterie per 50 megawatt. La Sardegna “vince” la sfida della regione più subissata da batterie al litio: su 1.121 megawatt assegnati in Italia per “nuovi accumuli” per il 2024 all’Isola ne sono spettati ben 528. Alla Sardegna, dunque, il 47% delle batterie cinesi per un milione e mezzo di abitanti, il restante 53% per gli altri 58 milioni. Non tutto, però, sembra filare liscio.

Americani contro

Le batterie della Catl, quelle destinate a riempire la Sardegna di Litio, sono finite nel mirino nientemeno che del Congresso degli Stati Uniti d’America che nei giorni scorsi ha votato una norma per vietare l’uso proprio di quelle batterie cinesi, scrivendo nell’atto che pubblichiamo il nome e cognome della società “Made in China”. C’è di più: nel dicembre 2023, la società Duke Energy è stata costretta a scollegare le batterie Catl dal campo base del Corpo dei Marines Lejeune per motivi di sicurezza nazionale. Non ci vanno tanto per il sottile gli americani: il «National Defense Authorization Act» per l'anno fiscale 2024 ha vietato i finanziamenti alla Difesa statunitense per i prodotti della cinese Catl. Le batterie che gli americani non vogliono le spediscono in Sardegna, qui tanto nessuno dice niente. Da terra di Nuraghi a quella del Litio, rigorosamente cinese.

(2. continua)

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