Periodicamente nel nostro Paese si riaccende il dibattito su cosa sia più importante tra sapere umanistico e sapere tecnico, tra “spirito” e “materia”. Il bello è che si tratta di un dibattito sterile perché gli esseri umani non avrebbero raggiunto tanti traguardi se non fossero stati capaci di muoversi a trecentosessanta gradi nella conoscenza del mondo che li circonda. Così la storia dell’umanità la possiamo raccontare come una serie di eventi, battaglie e personaggi. Oppure come un elenco cambiamenti nell’ambito del pensiero e della società. O, ancora come fa Silvano Fuso nel suo intrigante “Il segreto delle cose” (Carocci, 2021, pp. 221) come un lungo rapporto tra uomini e materiali. 

In fondo è quello che ci insegnano già a scuola: all’età della pietra segue quella dei metalli fino ad arrivare a quella rivoluzione industriale che sulla spinta di carbone e petrolio ha contribuito a forgiare il mondo in cui oggi abitiamo. E cosa sono pietra, metalli, petrolio e carbone se non “cose” che usiamo in ogni momento della nostra vita assieme a tanti altri materiali più o meno sofisticati. Insomma i materiali - nuove leghe metalliche, materie plastiche, semiconduttori, nuovi materiali ceramici, magnetici, elettrici, ottici - hanno accompagnato e accompagnano il progresso sociale ed economico. Non esiste, infatti, ambito di attività che non dipenda da essi.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Potrebbero sembrare discorsi capaci di interessare ingegneri, chimici, fisici e affini ma così non è come dimostra proprio il volume "Il segreto delle cose” e come ci conferma in prima persona Silvano Fuso:

“Dal mattino alla sera usiamo cose: dalla sveglia digitale che ci tira giù dal letto, alla tazzina con la quale beviamo il caffè, dallo smartphone con cui leggiamo i messaggi, fino al casco che indossiamo in scooter. Ogni cosa svolge docilmente la sua funzione e questo grazie al materiale di cui è costituita. Il cristallo piezoelettrico di quarzo della sveglia misura il tempo, la ceramica della tazzina le permette di sopportare alte temperature, il display a OLED (Organic Light Emitting Diode) costruisce le immagini sul nostro smartphone e il casco di fibra di carbonio e resine epossidiche ci salva la vita in caso di incidente. La tecnologia accompagna ogni istante della nostra vita: conoscere il funzionamento delle cose che usiamo e le proprietà dei materiali di cui sono fatte ci consente di subirla meno passivamente e di essere più consapevoli dei suoi pregi e limiti. Inoltre, conoscere le cose un po’ più a fondo, oltre le apparenze, è divertente”.

Nel libro lei parla di una disciplina specifica che ci aiuta a conoscere le cose, la scienza dei materiali. Cosa ci può "offrire" questa scienza?

“La scienza dei materiali è la disciplina che studia le proprietà dei materiali e che cerca di produrne di nuovi. Essa utilizza soprattutto la chimica, la fisica e in parte l’ingegneria. Le sue radici affondano nella notte dei tempi: quando l’uomo scheggiò la prima selce, impastò la prima argilla o estrasse i primi metalli. Non a caso le età preistoriche vengono contraddistinte dal nome del materiale prevalente (pietra, rame, bronzo, ferro). La moderna scienza dei materiali è però molto giovane e nasce e si sviluppa nella seconda metà del Novecento. Nonostante sia giovane, essa ha offerto soluzioni innovative in vari settori. Pensiamo alla rivoluzione rappresentata dalle materie plastiche, a partire dagli anni Cinquanta, e a quella elettronica, possibile grazie ai materiali semiconduttori”.

Quali sono i materiali del futuro, quelli che ci cambieranno maggiormente la vita?

“Cosa ci riserverà il futuro è difficile dirlo. Attualmente i materiali più promettenti sono i cosiddetti smart materials e i nanomateriali. I primi sono capaci di rispondere a stimoli differenti, adattando la loro risposta a particolari esigenze. L’elenco è lungo: materiali piezoelettrici, a memoria di forma, fotovoltaici e per l’optoelettronica, polimeri elettroattivi, elastomeri dielettrici, materiali magnetostrittivi, cromogenici, ferrofluidi, fotomeccanici, autoriparanti, magnetocalorici, termoelettrici, ecc. I nanomateriali contengono particelle che hanno almeno una dimensione nanometrica (miliardesimi di metro). Ne sono esempi il grafene e i nanotubi di carbonio. Entrambe le categorie presentano singolari proprietà che ne consentono l’applicazione in innumerevoli settori tecnologici”.

Come si coniuga l'uso dei materiali, la loro produzione con l'idea di sostenibilità, di rispetto per le risorse?

“Una larga parte della ricerca contemporanea è proprio concentrata su materiali che siano sostenibili dal punto di vista ambientale. Ad esempio, sono state inventate plastiche prodotte da rifiuti di origine vegetale. Per la produzione di energia si ricercano materiali alternativi ai semiconduttori tradizionali. Ad esempio, esistono celle fotovoltaiche che sfruttano pigmenti vegetali, quali succo di mirtillo. Sono poi stati realizzati cementi e vernici (a base di biossido di titanio), in grado di ridurre l’inquinamento atmosferico”.

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