Molti hanno visto nell’emergenza Covid la prova provata che gli ecologisti avevano ragione. Gli effetti drammatici della pandemia sono stati letti come la conseguenza di una umanità sempre più artificiale e lontana dalla natura, che anzi viene spesso calpestata dagli esseri umani. Così i virus “aggrediscono” la nostra specie perché invadiamo sempre più spazi naturali e sono così pericolosi perché la nostra salute è già stressata dall’inquinamento con cui avveleniamo soprattutto le nostre metropoli. Altrettanti, però, ribaltano la questione e affermano che sono proprio gli ecologisti a non aver capito nulla. Nella loro adorazione per tutto ciò che è naturale, “selvaggio” e incontaminato si sono scordati di quanto la natura possa essere pericolosa, impietosa. L’unico modo per contenerne i pericoli è quindi sfruttare al meglio le tecnologie e addomesticare sempre di più l’ambiente che ci circonda.

Per Roberto Della Seta, ecologista da più di trent’anni e presidente di Legambiente tra il 2003 e il 2007, queste due opinioni così distanti tra loro contengono entrambe alcune verità, ma sono afflitte dal medesimo, invalidante vizio: quello di semplificare troppo tematiche estremamente complesse. E la complessità è la caratteristica fondamentale del mondo che ci circonda nonché dei problemi che lo affliggono.

Ce lo dimostra il saggio "Ecologista a chi?” (Salerno Editrice, 2021, pp. 232, anche e-book) in cui Roberto Della Seta non solo ripercorre la storia del pensiero ecologista, ma ci racconta come essere ecologisti sia oggi una condizione necessaria, ma non sufficiente. È fondamentale, infatti, battersi per la salvaguardia del Pianeta, una salvaguardia che riguarda soprattutto noi esseri umani che semplicemente non possiamo vivere senza determinate condizioni ambientali e climatiche. Non lo si può però fare se non si risolve positivamente l’ambiguo rapporto tra ecologia e modernità, tra pensiero ecologista da una parte e progresso scientifico- tecnologico e sviluppo economico dall’altra.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Per Della Seta ecologia non può essere semplicemente sinonimo di abbandono del progresso ottenuto, una immaginaria decrescita felice o il ritorno a un Eden che probabilmente non è mai esistito. Il pensiero ecologista deve saper immaginare una modernità di nuovo tipo, basata su una fortissima alleanza e interrelazione tra progresso tecnico e salvaguardia degli equilibri ambientali. E lo deve fare guardando anche all’aspetto economico della questione perché non è immaginabile pensare di proteggere il Pianeta senza che ci sia maggior benessere per tutti. La sfida, per Della Seta, è riuscire a conservare il desiderio di cambiamento e di rottura che l’ecologismo porta dentro di sé da sempre, ma coniugarlo con voglia di fare, costruire, progettare, senza privilegiare la critica e l’opposizione in ogni situazione.

In termini politici, potremmo dire che l’autore del libro immagina un ecologismo di governo e non solo da barricata. Il pensiero ecologico, infatti, ha spesso guardato all’uomo come “intruso” nel mondo naturale ma al tempo stesso, nel solco di Darwin, come specie animale integrata nei processi evolutivi. Questa contraddizione non ha impedito alle idee degli ecologisti di conquistare l’opinione pubblica, di penetrare nella mentalità contemporanea e soprattutto delle nuove generazioni. Ma di fronte alla pandemia e a una crisi ancora più grave, quella climatica, gli ecologisti devono, per Della Seta, sciogliere le loro ambiguità, mettendo da parte pregiudizi e diffidenze verso la scienza e la tecnologia: oppure, da soluzione della crisi ecologica, il pensiero green rischia di diventare esso stesso parte del problema.

Una forma di nichilismo che non porta a nulla e rischia di fare solo danni.

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