Siamo nel pieno del weekend del Gran Premio di Formula 1 d’Italia, che esattamente da un secolo – salvo qualche rara eccezione – si corre sul circuito di Monza, vicino a Milano. Era, infatti, il 1922 quando per la prima volta bolidi che oggi ci appaiono antidiluviani – ma che volavano a più di duecento chilometri orari! – si sfidarono sull’asfalto dell’autodromo lombardo. Oggi come allora il Gran Premio è un evento che richiama l’attenzione di milioni di appassionati in tutto il mondo e che smuove milioni di euro, tra sponsor vari. Allo stesso tempo le corse di Formula 1 rimangono una grande sfida tecnologica, oggi giocata sul terreno dell’aerodinamica, dell’elettronica, della ricerca delle soluzioni più avveniristiche. La casa automobilistica che domina in pista spesso vince anche nelle vendite.

Insomma, le gare hanno da sempre una valenza che va al di là del mero evento sportivo e della sfida pilota contro pilota. Ce lo racconta in modo magistrale e coinvolgente un libro che ci “costringe” – ma alla fine della lettura si è ben contenti della costrizione subita – a fare un passo indietro nel tempo fino alle sfide automobilistiche degli anni Trenta del Novecento. Il volume in questione, impreziosito da numerose foto d’epoca, si intitola “Le Formula 1 del Führer” (Minerva, 2022, pp. 350) ed è firmato da Maurizio Ravaglia, giornalista che da decenni di occupa di automobilismo agonistico.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Ma cosa furono le Formula 1 di Hitler? Furono una serie di auto da corsa estremamente innovative prodotte dalla Auto Union (l’antenata dell’Audi) e dalla Mercedes tra il 1934 e il 1939, bolidi che permisero al Terzo Reich di egemonizzare il mondo delle corse. Fu una stagione piena di fascino e di grandi rischi dominata appunto dall’epopea delle Silberpfeil, le frecce d’argento, così furono chiamate le magnifiche monoposto prodotte da Mercedes e Auto Union per le loro eccezionali prestazioni e il colore delle carrozzerie. Sostenute economicamente dal Terzo Reich, che subito le trasformò in uno strumento di propaganda, progettate da ingegneri che immaginarono il futuro come Ferdinand Porsche (poi fondatore del marchio omonimo), rese invincibili dalle tecnologie d’avanguardia dell’industria germanica e guidate da fuoriclasse leggendari, le Formula 1 di Adolf Hitler passarono di vittoria in vittoria piegando a ogni latitudine le velleità di Alfa Romeo, Bugatti, Maserati.

Manifesto del gran premio di Germania del 1934
Manifesto del gran premio di Germania del 1934
Manifesto del gran premio di Germania del 1934

Il libro però non è una semplice carrellata di auto, per quanto straordinarie, e di piloti che erano veri e propri cavalieri del rischio. Ambisce e riesce a diventare un godibile saggio storico, capace di raccontare gli intrecci tra sport e politica nei tumultuosi anni che precedettero la tragedia della Seconda guerra mondiale. Rievoca le ambizioni e le passioni, i successi e le sconfitte di campioni di straordinario talento quali Caracciola, Nuvolari, Rosemeyer, Varzi, Lang, Stuck, Von Brauchitsch, Fagioli. Uomini audaci che incantarono le folle osando guardare la morte dall’alto in basso su circuiti folli. Non dimentica però di descriverci l’inesorabile piano inclinato su cui l’Europa prese a scivolare negli anni Trenta del Novecento, sospinta dalle ambizioni della Germania nazista. Alla fine di quel piano inclinato gli europei trovarono il baratro della Seconda guerra mondiale, a cui non erano preparati e a cui non credettero fino alle fine, nonostante le tante prove di forza di Hitler.

In fondo, poterono tristemente riconoscersi nelle parole del più forte pilota francese del periodo René Dreyfus: “Tutto stava cambiando in modo catastrofico, ma sembrava che stessimo fingendo che non fosse così. Nei circoli delle corse eravamo a conoscenza della situazione politica in Europa. Durante le trasferte in Germania vedevamo le svastiche e sentivamo i canti nazisti, non eravamo né ciechi né sordi, notavamo i movimenti di truppe e percepivamo quanto potente fosse diventato l’esercito tedesco. Ma in quanto piloti eravamo semplicemente francesi, tedeschi, italiani e britannici, ed eravamo tutti amici”. Amici pronti a sfidarsi in pista e poi costretti a fronteggiarsi, assieme ad altri milioni di individui, sui campi di battaglia.

© Riproduzione riservata