La storia di Vittorina, sarda sopravvissuta ai lager, e del marito pittore Umberto
Vittorina Mariani, nata a Porto Torres nel 1904, fu deportata per un periodo anche a Bergen Belsen. È tornata viva, ma quell’esperienza segnò profondamente lei e il maritoLa storia della Shoah è veramente un puzzle intricato. A distanza di 80 anni dagli eventi, ancora sono tantissime le vicende da ricostruire in modo dettagliato.
Una di queste è sicuramente quella di Vittorina Mariani, l’unica delle tre donne sardo-ebree deportate dal centro nord Italia dopo l’8 settembre 1943 ad essere tornata viva.
Fino ad oggi, di lei poco si legge, e poco si sa. Poche righe, ricostruite soprattutto da storici come il Prof. Aldo Borghesi nel “libro dei deportati” e più volte ripetute e ricordate in varie commemorazioni pubbliche e in vari appuntamenti. Anche il comune di Porto Torres, dove Vittorina è nata nel 1904, l’ha voluta omaggiare un anno fa, come disse il sindaco della cittadina Franco Mulas, per ricordare che “la sua vicenda ci insegna che nessuno può sentirsi al sicuro quando si mettono in moto le forze oscure che attraversano la Storia. I diritti umani e la pace sono valori da preservare sempre e da non considerare acquisiti per sempre.”
LA VITA – Vittorina nasce a Porto Torres il 17 maggio 1904. E’ la figlia di Eliseo Mariani e di Sofia De Benedetti, una coppia che potremmo definire “mista”, dove solo la madre ha origini ebraiche. Tuttavia Vittorina è cresciuta sempre nella religione cattolica.
Il padre si è trasferito con la famiglia a Porto Torres da qualche tempo perché impegnato alla “Ercole Antico”, un’azienda di spedizioni di Genova che si ritroverà, a inizio secolo, coinvolta nel turbine delle prime vertenze sindacali dell’Isola e soprattutto dei portuali della città turritana.
Leggendo il saggio di Sandro Ruju “Le prime vertenze dei lavoratori portuali di Porto Torres (1906 e 1911)”, si scopre che nel 1905, l’azienda per cui lavora papà Eliseo si aggiudicherà l’appalto dell’acquedotto di Bari, e sarà a Bari che nasceranno tre delle sorelle di Vittorina: Anita, Ida e Bettina.
Tuttavia i rapporti e soprattutto la vita a Porto Torres, dove la famiglia abita in via Porto Antico, non si fermano. Non sappiamo con esattezza quando la famiglia, e quindi Vittorina, lasceranno la Sardegna, alla quale però restano sempre molto legati.
IL MATRIMONIO – Nel 1929, a 25 anni, Vittorina convolerà a nozze con un personaggio che diverrà centrale in tutta la sua vita: Umberto Vittorini.
Vittorini è di ben 14 anni più grande di sua moglie, essendo nato a Bagno di Lucca, in Toscana, nel 1890. Vive a Milano, e tuttavia ha trascorso gran parte della sua vita a Pisa. Iniziato alla pittura da Edoardo Gordigiani, si concentra inizialmente nelle sue opere soprattutto sulla campagna toscana e sugli esterni pisani. Il suo esordio avviene nel 1910 a Firenze con il “ritratto di una giovinetta”, e tuttavia, lontano da ogni corrente pittorica, visse sempre appartato in quello che venne sempre definito uno stretto colloquio con “l’arte sua”.
Ma la vera “musa ispiratrice” che fin da subito lo accompagna in tutte le sue opere, è sicuramente solo una: la sua amata Vittorina, che sarà da lui dipinta numerose volte.
Laureata anche lei in materie scientifiche, come una delle altre due donne sardo-ebree che saranno deportate, Zaira Coen Righi, è fin dagli anni ’20 docente di matematica nelle scuole superiori del milanese, attività che condurrà sempre con passione fino alla pensione, e che farà sì che anche al momento della sua morte venga nei necrologi ricordata come “la professoressa di matematica Vittorina Vittorini”.
Sarà proprio quella passione per l’insegnamento, forse, a esserle fatale.
L’ARRESTO – Nonostante le leggi antisemite (che tuttavia non toccano mai la famiglia di Vittorina) e nonostante la guerra, Vittorina sta continuando a insegnare matematica, e nel pieno del periodo della Repubblica Sociale Italiana, sta addirittura viaggiando ogni giorno per recarsi in un istituto superiore di Monza, dove ha la cattedra di matematica.
E’ li ad insegnare alle sue studentesse e ai pochi studenti che non sono stati richiamati in guerra, addirittura fino al giorno prima dell’arresto, che avverrà nella sua casa di Milano il 22 aprile 1944.
Fino ad oggi, varie sono le tesi intorno al fatto che probabilmente Vittorina stava preparandosi ad una fuga in Svizzera insieme al fratello e alle sorelle, probabilmente in modo scaglionato: anche le sorelle e il fratello saranno arrestati ma in altre zone della Lombardia.
Tuttavia, una preziosissima fonte è costituita dal libro autobiografico di Alba Valech Capozzi “A24029” edito già nel 1946, nel quale quest’ultima, anche lei ebrea mista, racconta la sua vicenda di deportazione ad Auschwitz.
Il testo: “’Chi sarà oggi’ chiesi, udendo dei passi e delle voci irate nel corridoio. ‘Sembrano donne, - spiegò la Trude, - ma devono essere coraggiose per gridare così’. Era infatti una donna energica. Si chiamava Vittorina. La conobbi la sera quando venne con la sorella Ida e la Marchesini nella mia cella. ‘Sono ariana, - disse a noi, - e non comprendo come quel delinquente di Kok mi abbia arrestata’. ‘Ariana? - domandò meravigliata la Trude. - Ma allora perché vi hanno arrestato?’. ‘Perché la mia famiglia si chiama Mariani e perché quel delinquente di Kok dice che sembriamo ebree. Hanno preso me e mia sorella Ida, speriamo che si fermino. Siamo otto fra fratelli e sorelle. Kok si sbaglia, se crede che io dica dove si trovano’. Tacque. ‘Ma ti picchieranno’, fece la Trude. ‘Mi picchieranno? - scattò Vittorina. - Vorrei vedere anche questa!”.
Nel frattempo Umberto Vittorini è stato informato dai vicini di casa di tutto quello che è successo. Anche lui è molto coraggioso, ma soprattutto ha a mente una persona a lui molto vicina nel mondo dell’arte: il suo amico Aldo Carpi, anche lui pittore e disegnatore, scomparso all’improvviso dopo l’8 settembre 1943 in uno dei tanti rastrellamenti e mai più rivisto, e decide pertanto di tentare il tutto per tutto per far liberare moglie e famigliari: si reca di persona al comando del famigerato Pietro Koch, contestando una illegittimità dell’arresto della moglie, ma viene malmenato e internato a San Vittore, in isolamento, per un mese.
Anche Vittorina e le sorelle e il fratello sono condotti a San Vittore per un breve periodo di tempo, e da lì, probabilmente attraverso il binario 21 dei sotterranei della stazione centrale di Milano, deportate nel campo di transito di Fossoli.
Qui, un altro importante tassello nella ricostruzione di questa biografia viene dato da Ada Michlstaedter Marchesini, la quale racconta di come Umberto Vittorini sia inserito in una rete che farà entrare e uscire dal campo della corrispondenza clandestina che permetterà comunicazioni senza censura tra i familiari e i prigionieri. Ed è proprio in questo frangente, che Umberto riuscirà a incontrare Vittorina nel corso del suo internamento a Fossoli.
Dopo un periodo, in cui furono espresse false speranze per la certa liberazione dei cosiddetti “prigionieri misti”, ecco che, al momento della chiusura del campo di Fossoli e del trasferimento di tutti i prigionieri ancora presenti nel nuovo campo di transito nel quartiere Gries a Bolzano, le cose mutano radicalmente anche per gli ebrei cosiddetti “misti” come Vittorina e i familiari, fino a quel momento “parcheggiati” a Fossoli in una baracca.
Friedrich Bosshammer, l’uomo che da novembre 1943 è a capo dell’Ufficio IVB4 per l’Italia, e che dirige le deportazioni degli ebrei dal nostro Paese, decide di agire letteralmente per conto proprio con i misti, e anziché procedere a un rilascio, come fino a quel momento si vociferava sarebbe accaduto, organizza dalla stazione di Verona un convoglio molto particolare, che viaggia tutto intero fino a Monaco di Baviera, e poi da lì prende, dopo una suddivisione in tre tronconi differenti, tre destinazioni diverse: i coniugi ebrei finiranno ad Auschwitz Birkenau, i figli di matrimonio misto tra Buchenwald e Ravensbruck, e infine a Ravensbruck avviene una ulteriore selezione dove gli ebrei coniugi di matrimonio misto vengono messi da parte e destinati anche loro a Bergen Belsen, insieme agli ebrei in possesso di passaporti internazionali e destinati a questo campo da Fossoli.
Qui Vittorina e tutte le sorelle col fratello resteranno fino alla liberazione, il 15 aprile 1945, tornando poi in Italia a mezzo della Croce Rossa.
L’ARTE DI VITTORINI – Qualcosa, tuttavia, cambierà per sempre nell’arte di Umberto Vittorini.
Tutta questa esperienza e le sofferenze della moglie, segneranno per sempre Vittorini, frequentemente vittima di una forma di depressione post-traumatica che inevitabilmente finirà per condizionare la sua arte. Non si può comprendere a pieno la pittura vittoriniana del secondo dopoguerra, se non se ne conoscono le vicende familiari. Quei volti deformati da una pittura nervosa, che Umberto continuerà a ritrarre sempre dopo la guerra, non sono altro che il grido dell’anima di una persona colpita negli affetti più cari.
Il continuo ritrarre se stesso e soprattutto Vittorina, dimostrerà invece una continua voglia di scavare dentro di sé, probabilmente alla ricerca di un perché di quanto accaduto.
Vittorina e Umberto, dopo la guerra, saranno sempre assieme. Sono spesso ripresi, fotografati, e intervistati insieme. Lei è spesso sorridente, con quella sua verve corpulenta ed energica, il sorriso non le manca, specialmente nelle foto scattate durante il periodo estivo a Forte dei Marmi, in compagnia di amici e colleghi del marito.
Sarà inevitabile, nell’arte di Umberto, riferirsi alla Shoah, e dedicare tanto ai sopravvissuti.
Sarà proprio in questo senso che, nel 1948, regalerà un suo meraviglioso acquerello dal titolo “Sopravvissuti” al costituendo museo dei Combattenti del ghetto “Ghetto fighters house” costruito nel Kibbutz Haogamei Laghetaot a nord di Haifa, un Kibbutz tutto costruito dai sopravvissuti del ghetto di Varsavia.
Sarà inevitabile che, quando nel 1979, Umberto Vittorini lascerà questo mondo, la sua Vittorina, rimasta sola, morirà poco tempo dopo, il 31 gennaio 1981, a Segrate. E’ stata sepolta accanto al suo Umberto nel piccolo cimitero di Sommocolonia (Lucca).
Alessandro Matta
(direttore Associazione Memoriale Sardo della Shoah)