Tancredi Pisciotta è nato a Palermo, ma vive da tempo a Milano. Ha oramai raggiunto i quarant’anni e sente fortemente la mancanza di un figlio, che sembra non arrivare. Così come sente forte il desiderio di staccare dalla quotidianità e di rifugiarsi lontano dalle proprie abitudini, a Piano Battaglia, nelle Madonie, nel cuore della Sicilia.

In questo luogo sperduto tra le montagne siciliane, mezzo secolo prima, suo nonno Adelmo ha portato una casa mobile, che è diventata l’abitazione di famiglia. In quel rifugio Tancredi cerca di recuperare una pace che sembra averlo abbandonato, ma si ritrova invece catapultato in un misterioso fatto di sangue. Dopo una notte di luna piena infatti è lui a ritrovare il corpo di Amir, un pastore marocchino: è riverso a terra, con un grosso ramo vicino alla testa. Dalla sua bocca escono due parole appena sussurate: “Il lupo”. Parole prive di senso anche perché l’ultimo lupo delle Madonie è stato ucciso da molto tempo. Eppure, quelle parole eccitano gli abitanti di Piano Battaglia, alimentano commenti, mormorii e sospetti. L’unica a non dire nulla è Angela, una ragazza dalla bellezza selvatica, ma che non parla da quando era bambina. Dentro i suoi occhi si celano segreti più grandi di lei e toccherà a Tancredi farli emergere, per riportare a galla verità nascoste in un remoto passato.

Romanzo passionale e amaro come sa essere la Sicilia, “L’ultimo lupo” (Rizzoli, 2021, pp. 180, anche e-book) è molto di più di un classico romanzo giallo o di un mistery. È soprattutto un’indagine sulle passioni e le emozioni che segnano donne e uomini costretti a fare i conti con le proprie vite.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

All’autore, Corrado Fortuna chiediamo come è nata questo racconto così coinvolgente, ma anche così aspro nel delineare le relazioni umane:

“L’idea del libro è nata nell’estate del 2018. Erano mesi tremendi, quelli dei porti chiusi e delle navi dei migranti bloccate. I media riportavano spesso parole che rimandavano a sentimenti come l’odio, la paura. In quel periodo anche io stavo attraversando un periodo difficile e ho cominciato a pensare che non mi ero mai cimentato in una storia ‘nera”, nonostante la mia passione per i gialli. Ho cominciato a ragionare sulla storia di Amir, un pastore marocchino che migrava dal suo Paese, viveva tutte le peripezie e i traumi dei migranti che attraversano il Mediterraneo. Questo spunto poi, come capita spesso, ha cominciato a intrecciarsi con altre idee e con il momento che stavo vivendo io”.

Il libro ha quindi anche una radice autobiografica?

“Ho una casa mobile nella Madonie e lì mi sono rifugiato in un momento complicato della mia vita. Mia moglie e io stavamo seguendo un percorso di fecondazione assistita ed era tanto tempo che cercavamo di avere un figlio, senza riuscirci. Allora mi sono trasferito nella casa mobile e la storia di Amir ha cominciato a crescere, a svilupparsi in direzioni all’inizio inaspettate. Sono nati altri personaggi e il libro oltre a raccontare comunque dell’immigrazione, del fatto di sentirsi estraneo al luogo in cui ci si trova a vivere, ha cominciato a parlare di personaggi che hanno dentro di loro dolori, paure e traumi che arrivano dal passato e che con questo passato devono fare i conti.”.

Che personaggio è Tancredi e cosa si cela dietro la sua ricerca anche ossessiva di un figlio?

“Non ha l’ossessione di avere un figlio, ma non ha paura di mostrare quanto forte sia il suo desiderio di paternità, mette a nudo i propri sogni e anche le proprie paure perché questo figlio che non arriva lo espone a un timore molto forte: quello di rimanere solo. Per la prima volta in un mio libro ho creato un protagonista che è un mio coetaneo ed ho voluto creare un personaggio che si riconosce nel desiderio di genitorialità, un desiderio che troppo spesso viene attribuito solo alle donne.”.

Nel suo libro ci immergiamo in un luogo particolare, le Madonie. Perché la scelta di un palcoscenico così particolare?

“Prima di tutto volevo raccontare una Sicilia un po’ diversa da quella a base di spiagge e fichi d’India a cui si è abituati. Volevo narrare una Sicilia meno conosciuta, fatta di montagne aspre e natura selvaggia. Inoltre, Piano Battaglia è uno dei pochi posti che ho frequentato da bambino e che è rimasto identico, quasi immutato. La natura di quel luogo è per me la testimonianza concreta di quanto stiamo perdendo, di ciò che stiamo mettendo a rischio. Per questa ragione ho voluto che uno dei grandi protagonisti del mio libro fossero proprio i boschi, le montagne, insomma gli ambienti delle Madonie, un luogo magico, veramente da favola”.

E come in ogni favola non manca il lupo nel suo romanzo…

“Il lupo è una metafora delle paure che ci portiamo dentro, non qualcosa di concreto, perché nelle Madonie i lupi mancano dal 1924, quando venne ucciso l’ultimo esemplare. Nella mia famiglia si narra che a ucciderlo sia stato un mio trisavolo e forse per questo, per compensazione, ho voluto mettere un lupo nel mio libro. E poi sogno che un giorno questo animale possa essere reintrodotto nelle Madonie, un habitat che pare creato apposta per lui”.

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