“Il fumetto per formare il fascista perfetto”: potrebbe essere più o meno questo lo slogan con cui riassumere quanto Claudio Carabba (1943-2020), a lungo critico cinematografico del Corriere della Sera, ci racconta nel suo “Il fascismo a fumetti” (Bompiani, 2024, pp. 320).

Il volume, uscito nel lontano 1973, è oramai considerato classico nell’analisi dell’onnipresenza dell’ideologia mussoliniana nella società italiana del Ventennio. Obiettivo del regime, infatti, era formare il vero uomo e la vera donna fascista. Per questa ragione nessun ambito della formazione degli individui, compreso il tempo libero, la scuola e l’intrattenimento, doveva sfuggire all’indottrinamento.

Il Corriere dei Piccoli, L'Avventuroso, l'Intrepido, ma anche Topolino e Paperino: nessuna testata per i più piccoli e i giovani passò indenne attraverso il ventennio fascista. Nessuna rimase del tutto immune dal tocco delle matrici fondamentali della propaganda di regime, come l'ardimento, l'esaltazione del nuovo impero, il pregiudizio di classe e di razza, il livore anticomunista, la volontà di cancellare dalle mente degli italiani in erba quei modelli americani che si erano comunque imposti attraverso il cinema e il fumetto (Mandrake, Flash Gordon, solo per fare due esempi). Ogni occasione era buona per il regime per incidere sull’educazione dei più giovani. Nei libri dominavano le storie di giovani Balilla che si sacrificavano per la patria oppure sgominavano come piccoli eroi i nemici dell’Italia. Esisteva anche un giornale a fumetti intitolato “Il Balilla” (uscito tra il 1923 e il 1943) e persino i problemi di matematica che venivano dati da svolgere a scuola erano pensati per trasmettere un chiaro messaggio propagandistico agli alunni. Nell’Italia di Mussolini, fascisti lo si doveva essere fin dalla culla, anzi anche prima, almeno nelle intenzioni del regime.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Le famiglie, infatti, erano incentivate a fare più figli possibile in modo da donare alla patria sempre più uomini e donne votati alla causa fascista. Bambini e bambine erano considerati quindi patrimonio del fascismo, che si occupava della loro educazione irreggimentandoli nelle organizzazioni dell’Opera Nazionale Balilla. Due cose accomunavano tutti, bambine e bambini: una divisa da indossare nelle occasioni ufficiali, nella quale predominavano il bianco e il nero; e poi la promessa di assoluta obbedienza e fedeltà a Mussolini. Inoltre, nel ventennio fascista i giovani venivano indottrinati fin da piccoli perché diventassero dei perfetti soldati. Ai bambini veniva dato in consegna un piccolo fucile di legno; poi, quando si diventava Balilla e Avanguardisti, si passava a un moschetto vero e proprio e cominciava l’addestramento, sempre più realistico. Insomma, prima si giocava alla guerra per poi essere pronti a farla seriamente. Per questo si dava grande importanza all’attività fisica. Un vero italiano e un vero fascista doveva essere sempre in forma e atletico, non solo per questioni di salute e benessere come si usa oggi, ma per dare al mondo la dimostrazione della forza della “razza” italica. Anche le ragazze svolgevano attività fisica, ma in questo caso l’obiettivo era ben preciso: un fisico in forma aumentava la possibilità di avere tanti figli sani.

Impossibile per i giovani del Ventennio fascista sfuggire alla propaganda fascista che era presente in ogni ambito della vita quotidiana, in particolare a scuola. Il regime fascista permeava ogni aspetto dell’ambiente scolastico, a partire dall’arredo dell’aula. Le frasi del duce, a caratteri cubitali sui pannelli appesi alle pareti, servivano a imprimere nella mente degli scolari i principi base del fascismo, sintetizzati nel motto “credere, obbedire e combattere”. Un motto che ritroviamo anche nei fumetti, come ci mostra Claudio Carabba mettendo in fila decine di esempi della “presa di potere” del fascismo su una intera generazione.

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