La storia d’Italia nella seconda metà del Novecento si può raccontare da molti punti di vista. Si può parlare della politica, della cosiddetta “Prima repubblica”, quella dei grandi partiti di massa travolti poi dalle indagini dei Mani Pulite. Si può affrontare la storia italiana dal punto di vista di una società che alla fine della Seconda guerra mondiale era prevalentemente contadina e pochi decenni dopo era diventata urbana, impiegatizia e operai. Si può invece seguire il filo rosso delle vicende imprenditoriali ed economiche di una Paese, l’Italia, che si stava rapidamente e disordinatamente industrializzando.

Un Paese la cui imprenditoria, negli anni Ottanta del Novecento, vedeva sfidarsi per l’egemonia personaggi come Gianni Agnelli, Carlo De Benedetti, Leopoldo Pirelli, Cesare Romiti e Raul Gardini. Quest’ultimo era forse il più affascinante di quelli che alcuni hanno definito “capitani coraggiosi”, per l’ambizione e la voglia di primeggiare, altri “capitani di sventura” per le conseguenze, a volte disastrose per il sistema Italia, delle loro scelte.

Proprio al più iconico dei capitani coraggiosi o di sventura il giornalista Alberto Mazzuca ha dedicato un volume che si legge tutto d’un fiato, come un grande romanzo popolare: “Gardini. Il Corsaro” (Minerva, 2023, pp. 366, anche e-book). Ma a trent’anni di distanza dalla scomparsa, avvenuta nel luglio 1993 in seguito a un suicidio dai contorni mai del tutto chiariti, forse è utile riavvolgere il nastro e raccontare chi era Gardini e perché venne detto il Corsaro.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Gardini era prima di tutto un imprenditore ravennate, romagnolo e sanguigno fino al midollo, un padrone vecchio stampo che dirigeva le sue aziende come un comandante di nave conduce la propria imbarcazione: senza alcun limite al proprio potere, alle proprie decisioni e alle proprie ambizioni.  E Gardini, uomo libero e un po’ anarcoide, era non a caso un combattente che amava il mare (il suo Moro di Venezia fu la prima barca italiana a vincere nel 1992 la Louis Vuitton Cup e arrivare alla finale della Coppa America), i sogni e le sfide. La sua vicenda umana e imprenditoriale è poi legata in maniera indissolubile a quelle della dinastia dei Ferruzzi, la famiglia che grazie all’abilità e alla spregiudicatezza del suo leader, Serafino Ferruzzi, si trovò a dominare un impero nato dal controllo del mercato dei cereali. Nel 1979, Raul Gardini ereditò alla morte di Serafino (ne aveva sposato una delle figlie) il trono dell’impero e cominciò a essere conosciuto come “il Corsaro” per le scorribande in Borsa che lo portarono alla conquista di Montedison ed Enimont, all’epoca le aziende leader in Italia nel settore della chimica.

Gardini, un po’ pirata, un po’ avventuriero, si muoveva controcorrente, anche contro i poteri forti dell’epoca, in particolare Mediobanca di Enrico Cuccia. Disprezzava i politici in un’epoca in cui i partiti pretendevano controllo (e tangenti) su ogni aspetto della vita pubblica nazionale. Ad un ceto punto arrivò tanto in alto da coalizzare contro sé stesso le paure degli altri imprenditori, dei poteri forti, della classe politica e anche degli eredi diretti di Serafino Ferruzzi che prima gli avevano dato le chiavi dell’azienda di famiglia e poi lo misero alla porta. Era il 1991 e due anni dopo, nel giugno del 1993, la Ferruzzi veniva fagocitata dal sistema bancario guidato da Mediobanca, dopo essere affogata in un oceano di debiti. Molti incolparono Gardini per quei debiti, ma il Corsaro non ebbe molto tempo per difendersi. Morì a Milano il 23 luglio 1993: a breve i magistrati di Mani Pulite lo avrebbero arrestato per una storia di tangenti a politici corrotti. Un colpo di pistola alla testa, tante stranezze sulle modalità della morte. Tre giorni prima si era suicidato in carcere Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni e suo rivale nella vicenda Enimont. Due morti eccellenti che insanguinarono una stagione di resa dei conti sui cui gli storici solo oggi cominciano a indagare con il giusto distacco.

Ma al di là della tragica conclusione, la vicenda di Gardini – e della dinastia dei Ferruzzi - è parte fondamentale della storia politica, bancaria e industriale di questo Paese. Un tassello nella storia di quel capitalismo all’italiana in cui molti imprenditori si comportavano da padri-padroni, i banchieri andavano a braccetto con politici compiacenti, i politici pensavano più ai loro interessi particolari che a quelli generali. Una storia attualissima perché trent’anni dopo la morte di Gardini il quadro non è certo cambiato.

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