«Aranci, alberi che adoro, il vostro profumo mi è dolce! Vi è cosa nel regno di Flora che possa riuscir più gradita? Quei frutti dalla buccia soda sono un antico tesoro; e il giardino delle Esperidi non vide mai altri pomi d’oro…».

Così lo scrittore francese del Seicento Jean de La Fontaine ci racconta la sua passione per l’agrume più celebre, l’arancia. Quel frutto il cui profumo, unito a quello dei limoni, ricordava costantemente l’Italia al poeta tedesco Heinrich Heine e che per Federico García Lorca ha il colore brillante che deve avere l’amore. Insomma, gli agrumi hanno ispirato poeti e anche pittori. Hanno illuminato gli affreschi e i mosaici di Roma e Pompei, il grembo delle Madonne rinascimentali, le nature morte. Sono i limoni e le arance dei quadri cubisti di Braque e Picasso, di quelli impressionisti di Cezanne e Manet. Sono i “gialli dei limoni” della poesia di Montale, “stelle degli alberi e sfere lucenti” dei poeti arabo-siculi fino all’“arancia meccanica” di Stanley Kubrick. Come se non bastasse questi frutti hanno dato un contributo fondamentale alla vicenda umana.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

A raccontarcelo è Giuseppe Barbera, professore di Colture arboree all’università di Palermo, nel saggio “Agrumi” (il Saggiatore, 2023, euro 25, pp. 320, anche e-book), una vera e propria storia del mondo con protagonisti limoni, arance, cedri e pompelmi.

Provenienti dalle lande più lontane dell’Estremo Oriente, gli agrumi hanno, infatti, fatto parlare di sé fin dalla notte dei tempi. Era con ogni probabilità un frutto di questa famiglia e non una mela a tentare Eva e Adamo dall’albero della conoscenza del bene e del male nel giardino dell’Eden. E fu un agrume il pomo d’oro che Paride donò alla dea Afrodite, scatenando le ire di Era e Atena e innescando le dinamiche mitologiche che portarono alla guerra di Troia. E, sempre in tema di miti greci, il primo nome degli agrumi fu “esperidi”, come le ninfe che assieme al drago Ladone costudivano i pomi d’oro del giardino di Zeus, i frutti più preziosi e rari del mondo

Uscendo dal mito, Giuseppe Barbera ci racconta allora che proprio per la loro rarità le arance erano destinate unicamente all’imperatore nella Cina del III secolo a.C. Nell’Impero cinese esisteva addirittura un ministero degli agrumi che aveva il compito di assicurare i frutti al “celeste sovrano”.

Frutti tanto amati che per secoli mercanti ed esploratori tentarono l’impresa di importare le piante – così sensibili al mutare del clima, del vento e dell’umidità - verso Occidente. Solo nel Medioevo e grazie agli Arabi gli agrumi hanno trovato il loro spazio di elezione sulle rive del nostro mare e hanno fatto in particolare della Sicilia il giardino di delizie che solo le sciagurate politiche edilizie e agricole dell’ultimo secolo hanno rovinato, ma non del tutto per fortuna.

Senza scordare i benefici per la salute di arance e affini. Gli agrumi, infatti, sono stati addirittura il rimedio per un male che da secoli flagellava il mondo, lo scorbuto: James Lind nel XVIII riuscì a trovare la cura proprio grazie al semplice succo di limone.

Giuseppe Barbera ricostruisce quindi una storia del mondo inedita, in cui le vicende umane girano attorno a un cedro o a un limone.

Raccontare questa lunga avventura non significa, però, sottolineare soltanto l’importanza degli agrumi nella cultura e nei giardini dei popoli più diversi. Vuol dire affermare ancora una volta che nello studio e nella cura del paesaggio, dei suoi frutti e della sua bellezza, si trova l’insegnamento più prezioso che possiamo ricevere per immaginare il nostro futuro.

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