«Sembra quasi che la voce voglia ricreare il ritmo e l’armonia della Natura, una Natura che le nostre orecchie moderne hanno cessato di sentire; non solo i rumori noti degli elementi, degli uccelli, degli animali, ma quelli inafferrabili, a volte forse sognati, sonorità remote di una più vasta armonia...». 

Così scriveva l scrittrice e drammaturga René Juta nel 1926, a proposito del canto a tenore

E che il canto tradizionale sardo derivi dall’imitazione dei suoni naturali è una tesi ormai accettata. 

In particolare, negli anni si sono fatte strada due ipotesi suggestive, come ricorda anche Francesco Casu, nel primo volume dell’Enciclopedia della musica sarda edita nella Biblioteca dell’Identità de L’Unione Sarda. La prima, diffusasi negli anni Settanta, è che il canto a tenore sia nato dall’imitazione dei versi degli animali d’allevamento, come pecore e buoi, e da quella del vento

La seconda, invece, ritiene che il canto tradizionale sardo si sia ispirato, in origine, ai versi di grilli e rane

La “verità” potrebbe essere, come spesso accade, nel mezzo e un ruolo importante l’avrebbe giocato la volontà di amplificare la voce per farsi udire anche a distanza, per impartire ordini agli animali o spaventare “ospiti indesiderati”. 

Scrive i Casu: «I suoni gutturali di bassu e contra, come la nasalizzazione delle altre due parti, sono utili per generare una sorgente sonora chiara e facilmente udibile a distanza, ma al tempo stesso modulabile attraverso un numero infinito di microvarianti timbriche che, a seconda della propria fantasia, può anche somigliare al bue o alla pecora, al caprone o al muflone, al maiale o al grillo». 

(Unioneonline/l.f.)

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