Il Natale di una volta in Sardegna, tra fuoco e racconti
Riti, giochi, aneddoti e cibo: il 24 e il 25 dicembre secondo la tradizione dell’IsolaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Prima delle luci elettriche e dei pacchetti colorati, il Natale sardo era fatto di legna che arde, di mani che si ritrovano, di parole e aneddoti raccontati attorno a una tavola.
E ancora oggi, sotto la superficie delle feste contemporanee, quella magia in molte case dell’Isola continua a bruciare.
La Vigilia in Sardegna ha un nome preciso: Sa Notte ’e Xena. Non è solo “la notte della cena”, è la notte del ritorno. Le famiglie si ricompongono, i posti a tavola tornano completi, le distanze — geografiche e affettive — si accorciano. Si mangia insieme, sì, ma soprattutto ci si riconosce. Intorno al fuoco si rimettono in circolo storie, notizie, ricordi. La casa smette di essere rifugio individuale e torna a essere spazio collettivo, vivo.
A scandire il tempo della festa è il fuoco di Su Truncu ’e Xena. Un tronco acceso la sera del 24 e lasciato ardere piano, giorno dopo giorno, fino all’Epifania. Finché quella legna brucia, il Natale è vissuto. Il fuoco veglia sulle notti lunghe dell’inverno, tiene lontano il freddo e il silenzio, accompagna le conversazioni più intime.
Poi arriva il tempo di Sa Miss’e Puddu, la messa che comincia tardi e finisce quasi all’alba. Le chiese si riempiono quando fuori è ancora buio, e si svuotano che il giorno di Natale è già alle porte. Si rientra a casa stanchi, infreddoliti, ma con la sensazione di aver attraversato qualcosa. Il sacro, in Sardegna, completa la festa.
Gli anziani prendono la parola e la casa si trasforma in un piccolo teatro orale. Leggende, storie di un tempo in cui il mondo era più misterioso, passano di bocca in bocca. I bambini ascoltano, imparano a stare fermi, a immaginare. C’è spazio anche per il gioco: sa murra, con la sua energia improvvisa; su barralliccu, che gira come il destino; sa tombùla, democratica e rumorosa, capace di tenere insieme generazioni diverse attorno allo stesso tavolo.
E naturalmente si mangia. I dolci — pan’e saba, pabassinos, mustatzolos, sa tunda — raccontano una manualità paziente, tramandata dalle mamme alle proprie figlie. I piatti della festa — agnello, maialetto, culurgiones, malloreddus — cambiano da zona a zona, ma parlano tutti la stessa lingua: quella dell’abbondanza rituale.
