Marcello Tilloca ha strangolato la moglie e poi è andato a Olmedo, a vedere la partita di calcio del loro figlio. «Ci siamo accorti che aveva dei graffi sul viso - raccontano gli altri genitori - ma non gli abbiamo chiesto il perché».

Dopo l'ultimo saluto della città a Michela Fiori, la mamma di 40 anni che ha lasciato orfani due bimbi di 8 e 12 anni, dopo tutto lo strazio e la rabbia, rimane pure il rammarico di non essere riusciti a cogliere degli importanti segnali. «Io non sapevo nemmeno che Michela si fosse rivolta a un centro antiviolenza, come dicono. Non me l'aveva mai rivelato».

LA TESTIMONIANZA - Katiuscia Spinuso, amica e ex compagna di scuola della vittima, riferisce che il giorno del delitto, lo scorso 23 dicembre, la squadra della Nettuno calcio aveva una partita sul campo dell'Olmedo. L'appuntamento per tutti era in località Galboneddu, appena fuori città, intorno alle 9.30 del mattino.

«Marcello Tilloca è arrivato verso le dieci meno un quarto e ha chiesto se qualcuno di noi potesse dare un passaggio al bambino, perché lui aveva delle commissioni da sbrigare». Un'ora e mezza più tardi, infatti, era già sulla tribuna del campo, a guardare il secondo tempo della partita, con vistosi graffi sul naso. Gli altri genitori non erano soliti fermarsi a fare tante chiacchiere con quell'uomo che più d'uno, ironicamente, chiamava l'orco. «Ultimamente era burbero e scontroso - ammette Katiuscia - e lo avevamo notato un po' tutti nell'ambito calcistico. Ma mai e poi mai avremmo potuto immaginare una simile brutalità».

QUIETE APPARENTE - Al campetto della Nettuno Michela ci era andata giusto il giorno prima della sua uccisione. «Il 15 gennaio - prosegue l'amica - ci sarebbe stata l'udienza per la separazione e lei si sentiva finalmente libera». Uno stato di quiete apparente. Perché Marcello Tilloca dopo aver lasciato il figlio più grande in località Galboneddu, ha guidato fino a via Vittorio Veneto e si è presentato alla porta di Michela. Lei aveva cambiato la serratura ma ha aperto, forse perché credeva che al figlio mancasse qualche pezzo della divisa di calcio.

I due hanno lottato, poi Michela è finita nel letto coniugale, strangolata da un laccio, con le coperte rimboccate. Marcello è tornato al campo di calcio. «Lo avevamo chiamato al telefono almeno cinque volte - spiega Katiuscia - perché c'era un ragazzino a cui mancavano le scarpette e volevano chiedergli se poteva passare dalla mamma a prenderle. Ma non ci ha mai risposto».

A fine partita ha fatto gli auguri di Natale ed è andato via con il figlio. Il resto è cronaca nera, una delle pagine più atroci della storia della città.
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