Perché Maria Fadda lo scorso 25 giugno in un'intervista sull'Unione Sarda ha detto di «vivere ancora nel terrore?» Quali rivelazioni le aveva fatto trent'anni fa, gravemente ferito e sotto choc, l'unico sopravvissuto di un assalto armato che aveva provocato tre morti? Quante lampadine illuminavano la piccola stanza dell'ovile Cuile is Coccus teatro del triplice omicidio?

La convocazione

Sono alcune delle domande rivolte ieri pomeriggio dalla procuratrice generale Francesca Nanni alla figlia di una delle vittime della "strage di Sinnai" avvenuta sulle montagne a ridosso delle antenne di Serpeddì. Un'ora e mezza di colloquio durante la quale la memoria della donna, con il conseguente carico di sofferenza, è tornata indietro a quella mattina del 9 gennaio 1991 quando l'ansia e la paura che potesse essere accaduto qualcosa di grave - quella notte, contrariamente al solito, nessun parente era rientrato a casa - si era rivelata disgraziata realtà: il padre Gesuino, il fratello Giuseppe e il servo pastore Ignazio Pusceddu uccisi da una scarica di fucilate calibro 12 alle 18,30 del giorno precedente e il genero Luigi Pinna salvatosi solo perché creduto morto dal killer.

La strage sulle montagne

Un triplice omicidio costato l'ergastolo al pastore Beniamino Zuncheddu di Burcei, 57 anni, condannato proprio sulla base della testimonianza di Pinna: «È stato lui». Nonostante questo il detenuto - in carcere dal febbraio 1991 e da qualche anno in semilibertà - mai ha confessato e da sempre sostiene di essere innocente. Tesi fatta propria dai compaesani, convinti della sua estraneità alla strage, ma non dalla famiglia delle vittime per la quale la sentenza, definitiva, ha messo un punto fermo su avvenimenti e responsabilità: i delitti sono legati ai contrasti tra Gesuino Fadda e gli allevatori che gravitavano attorno al confinante ovile Masone Scusa, screzi dovuti agli sconfinamenti del bestiame, alle vacche e ai cani uccisi, alle liti con roncole e bastoni, alle minacce neanche troppo velate rivolte ai proprietari di Cuile is Coccus. Per Maria Fadda «i fatti sono stati accertati».

La richiesta di Zuncheddu

Ma la richiesta di revisione della sentenza presentata dall'avvocato Mauro Trogu, difensore di Zuncheddu, ha riaperto antiche ferite e rimesso in moto un meccanismo dalle conseguenze imprevedibili. La pg Nanni nei mesi scorsi ha già ascoltato Pinna (che ha confermato di aver riconosciuto il pastore di Burcei) e disposto un sopralluogo a Cuile is Coccus eseguito dai carabinieri. Il passo successivo è stato ordinare ai militari del Nucleo provinciale di convocare Maria Fadda al Palazzo di giustizia di Cagliari per chiederle di fare memoria su quanto accaduto trent'anni fa e puntualizzare alcuni passaggi dell'intervista all'Unione Sarda. Ieri la procuratrice generale e tre uomini dell'Arma hanno domandato alla donna perché ha sostenuto di vivere ancora nel terrore a distanza di così tanto tempo; cosa le aveva detto Pinna poco dopo essere stato soccorso; perché il sopravvissuto aveva sostenuto in un primo momento che il killer aveva una calza da donna in faccia e poi invece aveva rivelato che il suo volto era scoperto; che tipo di illuminazione si trovava nell'ovile (particolare importante per valutare se in effetti Pinna poteva aver visto l'assassino, tenuto conto che era già buio).

Le spiegazioni

Quesiti che spiegano quali sono, secondo gli investigatori, i punti incerti della vicenda, quelli che - in base agli elementi che si stanno raccogliendo in questi mesi - potrebbero spingere davvero a chiedere la revisione del processo. Fadda avrebbe spiegato di avere paura perché si sente ancora minacciata; ha parlato di due lampadine nel corpo centrale dell'ovile (una interna, l'altra esterna); ha ricordato le denunce sugli usi civici dei terreni presentate dal padre; ha ribadito che la versione iniziale di Pinna era dovuta alla naturale paura di ritorsioni. Il colloquio è terminato poco dopo le 17. Ora la Procura farà le sue valutazioni.

Andrea Manunza

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