Le carte molto spesso non dicono tutto. Gli intrecci societari, le scatole cinesi, i rapporti riservati e i patti parasociali il più delle volte raccontano molto più di quello che si deve sapere. Per l'eolico questa è un regola consolidata, in Sardegna soprattutto. Interessi miliardari, giocati sui tavoli più disparati. In ballo ci sono affari sconfinati legati soprattutto a incentivi senza limiti per chi conficca pale ovunque. Tanto pagano i cittadini con bollette maggiorate a dismisura per fantomatiche energie rinnovabili sempre più bancomat per pochi affaristi del vento. Il nuovo assalto via terra e via mare è segnato a suon di torri ciclopiche sul tetto dei "Tacchi d'Ogliastra" o sulla rotta dei tonni tra Carloforte e i faraglioni del Pan di Zucchero, nella costa iglesiente. Società apparentemente sconosciute per le pale schiaffate in mezzo al mare, arcinota, invece, quella petrolifera che si inerpica nei paesaggi dell'entroterra.

Stop al piano della Saras

Il progetto della Saras, otto pale ciclopiche da 206 metri, infilzate nel proscenio delle esclusive guglie montuose tra Ulassai e Perdasdefogu, si è fermato. Il ministero dell'Ambiente, abbandonato a se stesso in un eterno smart working, non dà spiegazioni ma il sito ufficiale segna a chiare lettere: procedura sospesa. Si ignorano le ragioni ma è chiaro che qualcosa è accaduto se, dopo appena due mesi, si registra uno stop senza alcun motivo dichiarato.

Elemosine in Ogliastra

Dunque, per il momento, la nuova foresta d'acciaio che la Saras vuole piazzare al confine con il cielo si ferma, insieme a quelle elemosine preannunciate in un quadro economico racchiuso tra milioni a valanga per la società dei Moratti e le briciole per il territorio. Qualche decina di migliaia di euro per i comuni d'Ogliastra in cambio di nuove gigantesche cattedrali nel deserto, capaci di generare fiumi di denaro per i petrolieri e aggredire ancora una volta quel paesaggio esclusivo. In attesa di capire cosa abbia bloccato il progetto dei signori del petrolio l'attenzione si sposta tutta sull'assalto più invasivo mai tentato in Sardegna, quello a mare.

Una selva di pale e società

Una foresta di eliche rotanti da quasi 300 metri d'altezza (285 per l'esattezza) presentata nel silenzio più assoluto da una società con sede al numero due di corso Vercelli a Milano, ma con le radici profonde in terra di Puglia. Nessun legame con la Sardegna, anche se i signori del vento in mare appaiono ben informati. Un susseguirsi di legami societari lascia comprendere che l'operazione del parco eolico galleggiante sul teatro incantato della Laveria Lamarmora di Nebida o al proscenio esclusivo davanti all'affaccio di Porto Flavia è qualcosa di più che un progetto per avventurieri.

Diecimila euro

È semplicemente impensabile che una società con meno di un anno di vita possa caricarsi il fardello di un progetto di tale portata e soprattutto possa pensare di realizzarlo visti i costi preventivati. Una compagine societaria a responsabilità limitata, con diecimila euro di capitale versato, che presenta un progetto per un investimento da un miliardo e 400 milioni di euro. E, come se non bastasse, a tutto questo si aggiunge un intreccio incredibile di scatole cinesi tutte legate a Giuseppe Gino Carnevale, l'amministratore unico della Ichnusa srl e a Luigi Severini, l'ingegnere-immagine del progetto. I due si incrociano come se niente fosse in assetti azionari tra i più variegati. La modestissima srl che ha depositato il progetto del parco galleggiante nel mare sardo al ministero dell'Ambiente è composta da altre due società e ognuno di esse ha versato 5 mila euro per accaparrarsi il 50% a testa delle quote azionarie.

Il socio di Auckland

Si tratta di altre due minuscole società, la "Nicetechnology" in capo all'ingegner Luigi Severini, progettista dichiarato del parco eolico flottante e la "7 Seas power" sempre società a responsabilità limitata ma con un capitale versato di ottantamila euro, di cui 60 sono di Mister Carnevale, mentre gli altri 20 sono di tale Mr. Botha Theo Nicholas, cittadinanza britannica ma con il domicilio addirittura a Auckland, in Nuova Zelanda. Negli intrecci societari il duo Severini e Carnevale si ritrova nella Nurax Power srl, ovviamente sede sempre in corso Vercelli, sempre al numero 2, sempre a Milano. Questa volta l'esborso finanziario è da piatto di lenticchie. Ognuno di loro ha versato mille e 500 euro. Capitale della società tremila euro.

Start up galleggianti

Tutte si dichiarano start up e tutte protese al decreto che ne finanzia progetti e non solo. Società con un'unica ragione sociale: parchi eolici galleggianti.

Se questi sono in numeri delle società che concorrono al progetto è fin troppo evidente che non c'è futuro. In realtà, però, entrando nei meandri societari, emerge evidente il loro ruolo. Si tratta di società di progetto, apripista in nome e per conto di gruppi altisonanti con strategie molto più consolidate ma avvezzi alla riservatezza preventiva. Non è un segreto, per esempio, che l'ingegner Severini in questi ultimi mesi ha messo in cantiere diversi progetti di parchi flottanti in mezzo al mare in giro per l'Italia.

Il progetto sardo-siculo

Uno di questi, da sistemare giusto nel bel mezzo del canale di Sicilia, è stato presentato al ministero competente appena cinque mesi dopo quello sardo. Progetti simili, anche se quello davanti a Carloforte e Masua è il doppio rispetto a quello siciliano, sia per potenza energetica che per investimento. Tra i due progetti c'è, però, una differenza sostanziale: quello davanti alla costa di Trapani ha già un potenziale finanziatore, la Copenhagen Infrastructure Partner, che ha appena lanciato un fondo infrastrutturale da 5 miliardi e mezzo di euro. Nel lancio siciliano del progetto Severini ha apertamente parlato del connubio sardo-siciliano: «questa parte della Costa siciliana e una parte della costa al largo della Sardegna hanno il più grande potenziale per l'energia eolica in tutto il Mediterraneo». Se fosse questa la sola ragione di cotanta attenzione per la costa sud occidentale dell'Isola ci sarebbe da credergli, la realtà è diversa ed è scritta a chiare lettere nel preambolo del progetto sardo.

Chiudere la centrale Enel

Senza mezze misure i progettisti del parco eolico a mare scrivono: il progetto è concepito per il phase-out del carbone. In sintesi: la centrale a carbone di Portovesme, 590 megawatt di potenza deve chiudere entro il 2025 e dunque, i signori della eolica Ichnusa, gli piazzano davanti un bel parco eolico flottante per sostituirla e fare soldi a palate. Quanto guadagnerebbero da questa operazione non lo scrivono da nessuna parte ma Severini e company i conti li sanno fare bene. La stessa compagine, infatti, ha progettato e sta realizzando un miniparco eolico a mare da 30 megawatt davanti al porto di Taranto, proprio davanti a casa loro. Non si sa come, ma a finanziare quell'operazione arriva la banca d'affari francese Natixis. Non benedettini in trasferta.

L'abbuffata di incentivi

I francesi sanno quello che si guadagna e lo comunicano in una nota ai propri azionisti: il primo impianto off-shore in Italia gli farà guadagnare un incentivo da 201,7 euro a megawatt/ora. Se si applicassero all'impianto sardo gli stessi parametri di ventosità utilizzati per l'impianto davanti all'Ilva di Taranto, i finanziatori si metterebbero in tasca cifre da capogiro, dai 150 ai 200 milioni di euro all'anno. Incentivi regalati dallo Stato, da moltiplicare per almeno 20 anni. E, ovviamente, alla Sardegna e ai sardi resterebbero solo le pale eoliche, in mezzo al mare, nella rotta dei tonni, davanti all'isola di San Pietro.

Mauro Pili

(giornalista)
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