«Ineccepibile» nel comportamento, da 12 anni «lavora all'esterno del carcere con impegno e serietà» e «ottiene» regolarmente «permessi premio», gode della «solidarietà dai compaesani» e del «sostegno dei servizi territoriali», rispetta «pienamente le prescrizioni». Lascia la cella la mattina per prendere servizio a Cagliari, torna di notte. Mai una nota di demerito, una segnalazione. Da 29 anni. Nel 2011 l'allora direttore dell'istituto di pena cagliaritano Gianfranco Pala disse: «Se tutti i detenuti fossero come lui sarei disoccupato».

La decisione dei giudici

Ma questo ligio rispetto delle regole è sufficiente a ottenere la sola semilibertà, non anche la libertà condizionale con la conseguente possibilità di dormire nella propria abitazione. Per la seconda volta dal 2014 Beniamino Zuncheddu, 56 anni, di Burcei, recluso dal 28 febbraio 1991 quale responsabile di un triplice omicidio consumato sulle montagne di Sinnai nel gennaio di quell'anno (sette fucilate calibro 12 esplose contro gli allevatori Gesuino e Giuseppe Fadda e il servo pastore Ignazio Pusceddu), si è visto respingere dal Tribunale di sorveglianza di Cagliari la richiesta di accedere all'istituto che, dopo 5 anni (per chi ne ha trascorsi almeno 26 dietro le sbarre), estingue la pena. La cui fine è prevista il 31 dicembre 9999. In una parola: ergastolo. Zuncheddu per i giudici non ha dimostrato un «sicuro ravvedimento», quel «percorso interiore di consapevolezza del reato e del suo disvalore sociale» che comprende anche un'apertura ai familiari delle vittime. Il detenuto «mai ha espresso solidarietà» né ha «offerto loro» un risarcimento. Ecco perché il «no» alla richiesta dell'avvocato Mauro Trogu.

Le due verità

Ma dietro il rigido rispetto di norme e regolamenti penitenziari c'è un insanabile conflitto tra due verità opposte: quella processuale e quella del detenuto. Per i giudici il pastore di Burcei è responsabile della strage, la sentenza è definitiva. Il sopravvissuto alla mattanza, nonostante un'iniziale versione diversa, in seguito ha sempre fatto il suo nome: «È stato lui». Zuncheddu viceversa continua a sostenere la sua innocenza: «Non c'entro». L'opinione pubblica è divisa. A Burcei sono ancora convinti dell'estraneità del compaesano al triplice omicidio. E anche i suoi avvocati al tempo del processo, i decani Luigi Concas e Francesco Onnis, ne erano certi. «Più passa il tempo e più ci si rende conto che questa storia grida vendetta. È ancora oggi una spina nel cuore». Le famiglie dei morti ammazzati, vere vittime di questa vicenda, sono convinte invece che l'assassino sia lui. La giustizia ha fatto il suo corso e ha individuato in Zuncheddu il responsabile. E nessun risarcimento potrà riportare in vita i propri genitori e figli.

Il massacro

Allora inevitabilmente si deve tornare alla sera dell'8 gennaio 1991, quando alle 18,30 qualcuno (avvolto dall'oscurità: il sole è tramontato da 45 minuti) percorre a piedi la stradina che, da quella principale, conduce all'ovile Cuile is Coccus. Imbraccia un fucile, incrocia Gesuino Fadda, gli spara e lo uccide; poco dopo fa altrettanto col figlio Giuseppe; infine entra nella casupola che fa da ricovero per i pastori e ammazza Ignazio Pusceddu. Le ultime fucilate sono dirette contro Luigi Pinna, genero dei Fadda, andato all'ovile per aiutare il suocero in un lavoretto. L'omicida è convinto di aver ucciso tutti, stacca il generatore e va via. Pinna invece è vivo. Terrorizzato, trascorre la notte ai piedi di una branda col timore che l'assassino torni e lega un pezzo di tela attorno alla gamba per fermare la fuoriuscita del sangue. La mattina dopo un amico arriva per cercare i Fadda e chiama i soccorsi. Cominciano le indagini.

Beniamino Zuncheddu (L'Unione Sarda)
Beniamino Zuncheddu (L'Unione Sarda)
Beniamino Zuncheddu (L'Unione Sarda)

Le indagini e gli alibi

Sull'ambulanza che corre verso l'ospedale il sopravvissuto descrive ai carabinieri un uomo «robusto, con un giaccone bianco e una calza da donna sul viso, in mano un fucile a una canna corta». L'inchiesta porta subito ai contrasti tra i Fadda e i tanti allevatori di Burcei - tra i quali Beniamino Zuncheddu - che utilizzano il confinante ovile Masone Scusa, distante pochi chilometri. Da anni gli sconfinamenti di bestiame suscitano le proteste dei Fadda. In un crescendo di violenza, i cani comprati dalle vittime per allontanare gli ovini altrui vengono uccisi e impiccati; i Fadda più volte sparano contro le bestie dei rivali; in un'occasione vanno da loro armati di roncola e bastone e scoppia una scazzottata. In questo clima si arriva agli omicidi. Pinna dopo l'iniziale ritrosia («non è che mi cercano per ammazzarmi?») parla col pm, rivela che il killer era a volto scoperto e, davanti a 16 foto e a 4 persone messe a confronto, indica Zuncheddu: «È lui». Il 28 febbraio il pastore finisce in carcere. Un mese dopo fornisce un alibi: la sera del delitto è con le pecore in montagna assieme a un amico, rientra a Burcei «col buio», si lava e cambia e va a casa di un'amica dove rimane sino alle 22,30. Ma per i giudici c'è un buco di oltre un'ora e mezza: a loro dire, arrivato in paese alle 17,45 ha il tempo di prepararsi e tornare all'ovile (mezz'ora di viaggio), portare a termine la strage, rientrare a casa, lavarsi e recarsi dall'amica dove giunge intorno alle 19,15. Non bastasse il testimone, a suo carico ci sono altri due elementi: ha costruito un alibi ritenuto inattendibile (due testimoni, definiti falsi, che l'avevano visto a Burcei proprio alle 18,30) e tempo prima si è rivolto così ai Fadda (che avevano sparato alle bestie di Masone Scusa): «Se facessero a voi quel che fate alle vacche...». Per la Corte d'assise, una chiara minaccia. Dunque: ergastolo.

Andrea Manunza

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