"Dopo aver illustrato le meravigliose cave di marmo candido Apuano, ora Sergio Valteroni ha compiuto un nuovo poderoso lavoro che illustra mirabilmente i due maggiori bacini carboniferi nazionali: Arsia e Carbonia. Dal marmo bianco al carbone: più bianco e nero di così?". C'è voluto una lunga ricerca, finita grazie a un articolo del 23 gennaio 1940, scovato nell'archivio storico de L'Unione Sarda, per dare un nome e un cognome all'autore di tanti quadri che i cittadini di Carbonia hanno visto riprodotti centinaia di volte senza averne mai letto la firma (che in realtà, in alcuni disegni c'è ma è ben nascosta). Quel Valteroni raccontato dal giornalista (che si firma "A.Valli") in una lunga recensione apparsa nelle pagine del quotidiano, era in realtà lo scultore, pittore e incisore toscano Sergio Vatteroni. Nacque a Carrara il 13 marzo 1890. La sua biografia ci dice che studiò scultura all'Accademia di Carrara e alla Scuola libera superiore di Roma.

Fu Professore onorario dell'Accademia di Carrara e dell'Accademia delle Arti del disegno di Firenze. Dal 1952 al 1957 è stato presidente dell'Accademia di Belle Arti di Carrara.

Il lavoro di illustrazione delle meravigliose cave di marmo Apuano, di cui parla anche il giornalista nell'articolo de L'Unione Sarda del 1940, è uno dei suoi lavori più noti: si tratta di trenta grandi acqueforti, grandi come quelle che poi dedicò al duro lavoro delle miniere di Carbonia e di Arsia.

L'artista, in queste due città minerarie, realizzò 32 opere, delle dimensioni di 32 centimetri per 44, raccolte in due distinti album. Quello di Carbonia è possibile descriverlo grazie all'articolo dell'Unione.

Come tanti giornalisti dell'epoca l'autore si sofferma ad elogiare la città costruita in un solo anno "dove prima c'erano solo lande deserte".

Si parte dalla piazza Roma, "la grande piazza - scrive Valli - sorta per incanto. La dominano la Torre Littoria ed il Campanile che vigilano sereni sullo sterminato gregge delle linde, comode e sane abitazioni degli operai e sui vicini pozzi di Serbariu". Di questa prima acquaforte non si conosce l'attuale collocazione, ma ne esiste una bozza custodita nella galleria Recta di Roma, mentre in alcune case di cittadini di Carbonia si possono ammirare le successive, quelle che raccontano il duro lavoro dei minatori: "Ecco l'aspro lavoro in galleria, nella tenebra, qua e là squarciata dalle caratteristiche lampade - si legge ancora - il durissimo lavoro dei minatori che, a dorso nudo, manovrano le perforatrici e le spingono con sforzo continuo nelle nere viscere del monte, e degli addetti ai trasporti dei caricatori, degli armatori preposti alla vigilanza sulla sicurezza delle gallerie".

Il maestro Vatteroni deve aver passato tanto tempo in compagnia dei minatori di cui si è soffermato spesso a studiare i volti scavati dalla fatica che ha poi raccontato nelle sue opere. E nei momenti in miniera deve anche essere rimasto affascinato dai castelli minerari, oggi simbolo della città e dagli immensi macchinari che ha poi raccontato nelle acqueforti: "Ecco i nastri elevatori - scrive Valli nel descrivere un'altra opera - ecco i castelli sui pozzi di Serbariu e la vicina centrale termoelettrica. Visioni robuste che hanno l'immediatezza di un'istantanea ed i contrastanti effetti che solo l'arte di un sapiente acquafortista può rendere con efficacia". Estasiato il giornalista sottolinea: "Nelle incisioni del Vatteroni c'è il movimento, la vita, il fervido lavoro di un potente centro minerario. Sono sparite le siepi di fichi d'india, il panorama è completamente cambiato ed anche gli uomini hanno subito una radicale trasformazione". L'articolo permette di scoprire anche che esiste (sarebbe bello scoprire dove) anche un'acquaforte dedicata a Sant'Antioco: "Ecco Sant'Antioco - scrive infatti - elevato alla classe di porto dalle potenti possibilità di carico e scarico, irto di gru monumentali, di antenne, di bastimenti, di fumanti comignoli di vapori, attrezzato con criteri lungimiranti, destinato a un grande avvenire".

Chissà che non si riesca un giorno a recuperare tutte queste opere e metterle in mostra in uno dei tanti spazi che la città potrebbe dedicare alle esposizione delle opere dei tanti artisti che l'hanno raccontata in passato e di quelli che continuano a farlo oggi.

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