Il luogo è ricco di suggestione e magia. Sensazioni che si percepiscono non appena si scende per le scale: si arriva così nell'ipogeo della chiesa di San Salvatore, nell'omonimo villaggio a una manciata di chilometri da Cabras. Siamo in pieno Sinis, nel borgo che ogni anno nel primo fine settimana di settembre accoglie is curridoris scalzi, che arrivano dal paese lagunare per raggiungere appunto il villaggio, portando il simulacro di Cristo Salvatore. Otto chilometri da Cabras a San Salvatore e ritorno. La statua, come vuole la tradizione, secoli e secoli fa venne messa al riparo dagli attacchi dei mori e trasportata di corsa nel borgo accanto a Cabras, San Salvatore di Sinis appunto.

Al centro della grande piazza sorge la chiesa: all'ipogeo, scavato interamente nella roccia, si arriva attraverso una serie di gradini che partono subito dopo l'ingresso del santuario. A questo luogo sacro è dedicato un volume scritto da Gianni Mancosu, cabrarese di 62 anni, grande passione per gli antichi culti dell'acqua e corridore: è infatti uno dei tanti fedeli che ogni settembre danno vita alla Corsa degli scalzi. L'opera di Mancosu descrive con grande cura e dettagli questo luogo unico: chi ci mette piede non dimentica le caratteristiche architettoniche ma soprattutto le sensazioni. "La scala - scrive Mancosu - occupa buona parte del corridoio che è voltata a botte. Ci si immette così in una saletta circolare nel cui centro vi è una fonte di acqua sorgiva. Nelle pareti del corridoio di ingresso si aprono due porte sormontate da archi appena accennati che immettono in altrettanti ambienti: in quello di sinistra è ancora in piedi un altare in arenaria costruito con un elemento architettonico a gola egizia; alla fine del corridoio un arco a tutto sesto conduce nell'ambiente circolare contenente la fonte quadrata". Attorno a questa saletta altri tre ambienti a completare l'architettura. "Nell'ambiente absidato più lontano i resti di un'altra fonte sacra riferibile all'epoca nuragica - scrive ancora Gianni Mancosu - al centro del pozzetto, protetto da una spessa lastra di vetro. Un betilo preistorico parzialmente immerso nell'acqua ci rimanda ai culti di fertilità ben noti nel mondo antico". Il villaggio e la chiesa di San Salvatore, dunque, sono il centro della Corsa degli scalzi, una festa cristiana che coinvolge tutta la comunità di Cabras, ma anche i tanti visitatori che si affacciano timidamente, quasi chiedendo il permesso prima di entrare in un microcosmo. E il borgo, con le sue case basse, is domigheddas, appare agli occhi dei visitatori come una realtà a sé stante. Tutto ruota attorno alla chiesa, al centro della piazza, dedicata al culto di Cristo Salvatore: quella che sta in superficie costruita verosimilmente nel XVII secolo e quella sotterranea, più antica che risale al IV secolo dopo Cristo. Il cuore del borgo e dei cabraresi pulsa, infatti, nell'ipogeo, tempio sacro ancora oggi vivo e monumento architettonico paleocristiano, con una fonte sacra di acqua sorgiva e un betilo, simboli della fertilità. Certamente fu luogo sacro all'epoca nuragica, poi divenne tempio di Marte e Venere. "Nelle pareti del corridoio di ingresso si aprono due porte sormontate da archi che immettono in altrettanti ambienti a pianta rettangolare - racconta Gianni Mancosu - In quello più lontano, scavato nel pavimento, i resti di un'altra fonte sacra presumibilmente di epoca nuragica. Al centro del pozzetto, protetto da una spessa lastra di vetro, un betilo preistorico parzialmente immerso nell'acqua ci rimanda ai culti di fertilità. Tutti gli ambienti presentano tracce di decorazioni con pitture antropomorfe e zoomorfe, eseguite con notevole capacità artistiche in alcuni casi, ma anche opere di stile più incerto. Tutte le rappresentazioni sono legate all'aspetto sacrale e votivo e, se si esclude il ciclo pittorico di Marte e Venere, non seguono un ordine cronologico e iconografico preciso, ma sono distribuiti disordinatamente un po' in tutti gli ambienti". Nella stanza più lontana ci sono i resti di una importante iscrizione araba del XVI secolo che attesta nel tempio la presenza della cultura islamica. Sono i primi versetti del Corano che, in questo luogo tappa in un anno di alcune migliaia di visitatori e di tante scolaresche, hanno trovato spazio al fianco di un altare cristiano. "Alcune iscrizioni in lingua punica confermano il carattere di luogo ove si verificava una forza guaritrice e protettrice. Il monogramma RF, scritto più volte in prossimità delle divinità venerate, si legge Rufu e significa "guarisci". Nella seconda stanza a destra la coppia Marte e Venere, Marte italico, dio della fertilità. Da segnalare, infine, alcune figure legate all'iconografia cristiana: un alfabetario greco, sormontato da un pesce, simbolo cristologico per eccellenza". L'ipogeo era dunque sede di culto delle acque che si è mantenuto fino a oggi con la convinzione che l'acqua della fonte fosse di natura medicamentosa. Aperto durante tutto l'anno, eccezion fatta per questo periodo post Covid, l'ipogeo è chiuso per una decina di giorni, in coincidenza con la festa di San Salvatore: tante persone, troppe, affollano la chiesa dalla fine di agosto (quando comincia la novena) e sarebbe difficile gestire questo flusso di gente. Quest'anno, con l'emergenza sanitaria, tanti, troppi dubbi sulla opportunità di tenere comunque la manifestazione.
© Riproduzione riservata