Il dato di partenza è economico: l’esordio di Natale fa il botto, con 5,6 milioni di euro incassati in un solo giorno. A Santo Stefano è andata ancora meglio, con altri 7,9 milioni. Il film viaggia già sui livelli dei suoi “Tolo Tolo” e “Quo Vado”. Il ritorno in sala di Checco Zalone, con la rassicurante regia di Gennaro Nunziante, regala numeri impressionanti alla macchina popolare che trasforma ogni uscita nel termometro dei sentimenti d’Italia. Poi c’è la sostanza dell’operazione tra risate, un occhio strizzato al buonismo e qualche passaggio a vuoto (neanche troppi). Buen Camino, grazie alle location suggestive proposte dal copione, fa anche venire la voglia di conoscere quegli antichi percorsi di pellegrinaggio tra Francia e Spagna verso Santiago di Compostela. 

Checco, miliardario per eredità, è un narcisista irresponsabile e vive di feste e soldi scialacquati nella super villa incorniciata tra i graniti della Costa Smeralda. Sguardo da piacione e capelli lunghi, frutto di una parrucca dall’improbabile color ruggine, anche se lui ricorda che è una «modernissima e costosissima patch». Quando la figlia diciassettenne Cristal («come lo champagne») sparisce e decide di mettersi in cammino verso il santuario galiziano, l’eccentrico riccone è costretto a inseguirla in un viaggio avventuroso in cui impara a conoscere le responsabilità e il suo ruolo da padre. Il Cammino diventa così un viaggio obbligato e soprattutto fisico, fatto di stanchezza, piedi doloranti e convivenze forzate. È qui che Buen Camino funziona meglio: si ride a più riprese con le intuizioni calibrate sul più classico cinepanettone. Ma non mancano le battute aspre, per non dire al limite, come quella sull’«unico palestinese che occupa un territorio a Gaza: Gaza mia». O quella ancora più estrema sull’ostello-camerata: «Sembra di essere in un film, Schindler’s List»: meno male che dalle docce «non esce gas ma acqua». Le gag del film hanno senso e possono essere perdonate perché pronunciate da un uomo superficiale e inconsapevole: non chiedono di essere condivise, ma ambiscono solo al riconoscimento. Il film non punta verso l’alto: vuole vestirsi da cinema popolare, sceglie di scatenare le risate di più spettatori possibili.

Funzionano le protagoniste femminili (Letizia Arnò e Beatriz Arjona) che danno freschezza alla trama e anche il meccanismo della storia on the road sui percorsi del cammino di Santiago è apprezzabile.
Il film divide perché a conti fatti si rivela meno pungente dei precedenti, quasi come se cercasse un perimetro più largo di condivisione. Si intravede un processo di normalizzazione nelle scelte di Zalone, la satira mordente lascia spazio a un modello di film più compiacente nei confronti delle diverse tipologie di pubblico. Lo spirito provocatorio che aveva reso l’attore pugliese un modello unico viene in qualche modo ammorbidito da una comicità accomodante e meno anarchica. 

Questo cambio di vedute può essere in realtà anche una scelta. Zalone e Nunziante potrebbero aver spostato l’obiettivo, lasciando indietro le certezze dei film passati e guardando più in là. Il copione appare più familiare, domestico, puntato su un tema condiviso come la paternità e il rapporto complicato tra padre separato e figlia. Non mancano certo le gag sicure e a presa rapida, ma sono più centellinate, quasi a dire «le sappiamo fare ma preferiamo guardare avanti». La canzone-tormentone “La prostata Enflamada”, che attraversa e chiude il film, sintetizza bene l’operazione: si trasforma un tema di salute in manifesto pop, dove prende forma l’idea che la maturità spesso arriva quando il corpo presenta il conto. Da segnalare la “chica”, la ragazza che balla con Zalone nelle ultime scene del film: è la venticinquenne di Assemini Martina Miliddi, un passato ad Amici e un presente fatto già di oltre un milione di spettatori che l’hanno vista esibirsi sul grande schermo. 

In un bilancio finale Buen Camino è un progetto che può dividere perché fa due cose insieme: Zalone vuole restare Zalone ma sceglie anche di entrare nella dimensione dei film formato famiglia, che piace a grandi e piccoli e a un pubblico culturalmente più eterogeneo. Il copione regala un po’ di saliscendi, ma quando l’artista barese entra nelle sue comfort zone – tra arroganza, ignoranza («è di Città del Messico ma non dice di quale città»), irresponsabilità – la risata si affaccia prepotente e collettiva. La certezza finale è sempre la stessa: quando Checco Zalone si ripresenta sul grande schermo il risultato è garantito. Gli italiani si specchiano nei suoi film: ridono, commentano, criticano e riempiono le sale.

© Riproduzione riservata