Per anni nei suoi libri l'economista Loretta Napoleoni ci ha raccontato le dinamiche globali e i grandi temi della geopolitica oppure ha descritto la crisi economica dell'ultimo decennio e i legami tra finanza e terrorismo. Insomma, ha scelto di confrontarsi, in maniera spesso originale e ben poco convenzionale, con i grandi problemi del nostro tempo.

Questo approccio "fuori dal coro" unito al desiderio di indagare il disagio e le problematiche della contemporaneità ritorna nell'ultimo libro della Napoleoni, Sul filo di lana (Mondadori, 2020, pp. 180, anche e-book), dedicato a una della attività che accompagnano l'uomo (e soprattutto la donna) dalla notte dei tempi: il lavoro a maglia.

Lo sferruzzare di dritto e rovescio dei ferri ha fatto, infatti, da sottofondo a molti momenti della storia umana e ha svolto un ruolo fondamentale all'interno delle società fin dall'alba della civiltà. Soprattutto Loretta Napoleoni mostra come la maglia sia un'arte straordinaria, addirittura una fonte di guarigione di cui la società ha una disperata necessità e che ci ricorda che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Non ne siete convinti? Allora parliamone direttamente con l'autrice del libro:

"Il lavoro a maglia sta conoscendo una grande rinascita. Offre, infatti, molti benefici psicologici. Aiuta a calmarsi, mantiene il cervello giovane, consente di fare un esercizio utilissimo soprattutto per le persone anziane perché fa lavorare sia l'emisfero destro, sia quello sinistro. Fa bene alla pressione sanguigna perché rilassa. Insomma, è un'attività che mette in movimento buona parte del cervello senza però fare aumentare il livello di stress!".

Nel libro però parla non solo di benefici individuali. Ci racconta di come fare la maglia crei aggregazione, aiuti a riconnetterci con gli altri. Ma davvero è così?

"Per usare una metafora, lavorando a maglia ogni punto è fondamentale così come ognuno di noi lo è all'interno della società. Tutti abbiamo un ruolo e siamo importanti per il buon funzionamento delle cose. A livello più pratico fare la maglia aggrega perché è un'attività che si fa da soli, ma ancora più spesso viene svolta in gruppo, come si faceva nei paesi un tempo. Oggi, per esempio, si stanno diffondendo i knitting cafe, cioè luoghi d'incontro per sferruzzare in compagnia. In questi caffè ci si incontra, si lavora a maglia, si parla, si ritrova l'abitudine di aggregarsi, di condividere, di costruire storie oralmente. Un tempo le persone mentre lavoravano si trasmettevano tradizioni, conoscenze, insegnamenti. Lavorare a maglia aiuta a farlo ancora oggi e ci permette di sentirci meno isolati nelle nostre società. Come scrivo nel libro, per liberarci dal disagio esistenziale ci serve una cosa sola: continuare a sferruzzare di diritto e di rovescio, riannodando i fili della nostra vita".

Per molto tempo la maglia è stata considerata un'attività femminile, anzi quasi un simbolo di come le donne fossero relegate a svolgere solo attività casalinghe. Questa visione è quindi da rivedere?

"Non è da rivedere perché questo giudizio negativo non ha mai avuto ragione di essere. Il lavoro a maglia nasce più di 8000 anni fa e permetteva di realizzare indumenti e reti per la pesca. Soddisfaceva quindi bisogni primari dell'uomo come riscaldarsi e procurarsi cibo. E poi, come racconto nel libro, lavorando a maglia le donne hanno dato un contributo insostituibile alla storia umana. Durante la Rivoluzione francese divennero famose le tricoteuses, le magliaie che mentre lavoravano assistevano alle riunioni politiche. Protagoniste della conquista del West sono state le donne che realizzavano i vestiti per i pionieri e che venivano chiamate le 'api che sferruzzano'. Senza il lavoro a maglia quanti soldati sarebbero morti di freddo sui fronti di montagna della Grande guerra? Insomma, parliamo di un'attività insostituibile, che ci fa capire quanto le donne sono state importanti anche in passato. Altro che lavoro degradante!".

Ma anche gli uomini stanno oggi scoprendo i vantaggi del lavoro a maglia?

"Sono in molti a dedicarsi a questa attività. Ho fatto recentemente una presentazione a Torino e c'era in prima fila un ragazzo che stava lavorando a un cappello di lana. Mi ha detto di aver cominciato perché dove abitava c’era la possibilità di svolgere due attività come passatempo: la boxe e l'uncinetto. Non amando la violenza ha scelto il secondo e dall'uncinetto è passato alla maglia per non staccarsene più".
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