Nonostante l'appeal innegabile di papa Francesco nei confronti delle masse, la Chiesa cattolica appare spesso invecchiata e impacciata. I suoi insegnamenti non sembrano più tenere il passo del nostro tempo e, soprattutto tra le nuove generazioni, la questione religiosa sembra non avere più rilevanza, sostituita dalla fede nella scienza e nel progresso della tecnologia, quest'ultima considerata alla stregua di una divinità capace di donare un futuro migliore all'umanità. Viene da chiedersi allora se ci sia spazio nella nostra società iper-secolarizzata per un messaggio come quello cristiano che non sempre va d'accordo con le grandi promesse della tecno-scienza. Insomma, viene da domandarsi se esista ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo.

È quello che chiediamo alla sociologa Chiara Giaccardi, autrice assieme a Mauro Magatti del saggio "La scommessa cattolica" (il Mulino, 2019, pp. 200, anche e-book): "Un nesso esiste, come io e Mauro Magatti spieghiamo nel libro. Noi scommettiamo sul fatto che il cristianesimo, e in particolare il cattolicesimo, abbiano ancora molto da dire oggi, a patto di superare la contrapposizione assoluta tra modernità e religione. Una contrapposizione che non ha senso di esistere e che non ci porta da nessuna parte".

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

A suo parere questa contrapposizione può essere superata?

"La modernità è, da un certo punto di vista, figlia del cristianesimo perché temi come la dignità della persona umana, la libertà, l'autodeterminazione della coscienza sono stati affrontati prima di tutto in ambito cristiano. Recuperare quindi un legame fecondo tra modernità e cristianesimo ci può servire a smuovere tanta stagnazione odierna. Nel nostro libro leggiamo la famosa parabola del 'Figliol prodigo' in questa chiave. Noi moderni siamo come il figlio che se ne è andato di casa e ha voltato le spalle al padre. Una volta lontani ci sentiamo persi, ci accorgiamo che non tutte le promesse della modernità si sono realizzate e ci rendiamo conto che è tempo di tornare".

Dopo tanto slancio verso l'ignoto bisogna quindi tornare al passato?

"Assolutamente no. Non bisogna serrare le fila e tornare a un bel tempo che fu, che tanto bello non era. Bisogna tornare per avere il coraggio di tentare vie nuove, di scrivere pagine nuove nel rapporto tra modernità e religione cattolica".

In queste pagine nuove cosa si dovrebbe scrivere?

"Prima di tutto bisogna affrontare il tema della libertà perché nonostante l'uomo, per il cristianesimo, sia stato creato a immagine e somiglianza di Dio e quindi libero, la Chiesa ha sempre fatto fatica a confrontarsi con questo tema, puntando piuttosto sul controllo delle coscienze. Invece a nostro parere proprio sulla libertà il cattolicesimo ha molto da dire nel nostro tempo".

Ci spieghi meglio…

"Ogni uomo ha connaturato dentro di sé il desiderio di superare i limiti imposti dalla natura umana, raggiungendo una sorta di pienezza. La modernità risponde a questo desiderio con l'eccesso, cioè con la moltiplicazione quantitativa delle possibilità. Alla fine, però, non si è mai soddisfatti e si arriva al punto che per sentire la vita si deve assecondare una sorta di pulsione per esperienze estreme, che ci portano a rischiare la vita stessa. Viceversa, al desiderio di superare i propri limiti si può rispondere in maniera qualitativa, con quella che noi chiamiamo eccedenza. Dobbiamo reimparare a superare il nostro individualismo, sbilanciarci fuori da noi stessi. Dobbiamo reimparare a rischiare, a non avere tutto sotto controllo, a metterci in gioco per noi stessi e soprattutto per gli altri. La vita sulle orme del cattolicesimo è una vita di avventura, di rischio, dove nulla è già predefinito e sicuro, come nelle pseudo-certezze che ci vengono offerte dalla tecnica e dalla scienza".

Non dobbiamo quindi avere paura, come ripeteva spesso papa Giovanni Paolo II?

"Bisogna non farsi bloccare dalla paura, ma anche non vergognarsi di provarla perché si tratta di un sentimento umano. Anche di fronte alla paura, spesso in ambito cattolico assistiamo a risposte distorte, come se il timore e l'insicurezza si dovessero vincere rinserrando le fila, schierandosi in maniera militare contro le posizioni contrarie. La paura si vince aprendosi alla sfida del confronto con la diversità ed evitando contrapposizioni sterili. La fede non è un'ideologia, non è un'adesione a una dottrina. È affidamento, è una relazione in cui ci si mette in gioco e che ci trasforma. Semplicemente non dobbiamo aver paura di rischiare e di entrare in questa relazione".

Ma un messaggio di questo tipo non rischia di sembrare troppo spirituale e poco concreto?

"No, la fede è qualcosa di molto concreto, è un cammino, un muoversi verso qualcosa, un inseguire che si realizza nella vita di tutti i giorni e che non ha senso pensare per un ipotetico Aldilà. Mi viene in mente in questo senso un verso della poetessa Emily Dickinson che scriveva: 'Chi non ha trovato il cielo quaggiù, lo mancherà anche lassù'".

Un'ultima domanda: il cattolicesimo può ancora dare speranza a una società come quella occidentale che pare tanto lontana dai temi religiosi?

"Sì, se si ripulisce da quelle incrostazioni del passato che rendono la comunicazione con il mondo moderno poco efficace. Il cristianesimo cattolico ha un grande messaggio di pienezza, avventura, comunione, incontro tra le differenze che può incidere positivamente in molti ambiti. Bisogna, però, liberarsi dalle preoccupazioni per una purezza dottrinale che ha poco a che fare con il messaggio del Vangelo. Gesù non faceva altro che criticare scribi e farisei e ripetere che il messaggio è solo uno: amate Dio e amatevi tra voi. Il resto o aiuta a realizzare questo insegnamento oppure diventa un impedimento, un ostacolo che toglie speranza perché ci fa sentire inadeguati a un modello astratto e quindi irrealizzabile".
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