Una leggenda dell’Italia settentrionale narra del Mago di Cantone, essere malvagio che nel primo Seicento era solito rapire giovani donne nelle zone di confine tra Italia e Svizzera per poi sottoporle a riti negromantici e sevizie indicibili.

Il Mago, probabilmente un potente dell’epoca, un epigono dell’Innominato del Manzoni, è una vera anima nera: intoccabile, sfuggente, capace di colpire chiunque e ovunque e di sparire come un fantasma.

A fronteggiarlo, nella finzione romanzesca, troviamo Tonio, popolano a cui il Mago ha rapito la promessa sposa. Tonio decide di non cedere al sopruso e di cercare l’amata e questo lo condannerà a guardarsi a vita dalla vendetta del Mago e dei suoi sgherri.

Di più è meglio non dire per non rovinare la lettura del coinvolgente romanzo storico Il ladro di ragazze (Gabriele Capelli Editore, 2017, Euro 21, pagine 464) scritto dal giornalista Carlo Silini.

Meglio non dire troppo perché il libro di Silini merita di essere assaporato pienamente, senza la mediazione biginesca di un riassunto. Merita perché scritto con la cura del giornalista capace di parlare ai suoi lettori e di coinvolgerli in un racconto avvincente ed evocativo.

Uno scrittore abile di far rivivere quel Far West nostrano rappresentato le terre lombarde e della vicina Svizzera nel Seicento. Luoghi che erano frontiera e terra di nessuno, contese tra la Confederazione elvetica, che però aveva il suo cuore oltre le Alpi, e Milano, dominata da una Spagna all’inizio del suo declino. Gli unici realmente interessati a quelle terre parevano gli inquisitori della Diocesi di Como, sempre alla ricerca di “eretici” e streghe in quest’epoca oscura di scontro tra cattolici e protestanti.

Il volume
Il volume
Il volume

Silini ci restituisce con maestria, partendo dall’attenta consultazione dei documenti dell’epoca, il clima di superstizione e sospetto di quei giorni lontani. Soprattutto ci testimonia la miseria della povera gente, oppressa dai potenti ed esposta alle bizze della natura.

Con pochi tratti e grazie alla vivacità dei tanti dialoghi che intessono il racconto ci restituisce in pieno la psicologia di questi umili, quello che albergava nei loro cuori e animava le loro azioni.

Ecco, è proprio questo a colpire maggiormente in questa opera prima: la maturità della narrazione e l’accuratezza nella gestione dei personaggi. Poco o nulla stride nel romanzo di Silini, tutto sembra necessario, utile al racconto, anche la violenza e la depravazione, che non vengono mai mostrate con compiacimento o con calcolato sensazionalismo.

Tutto è pervaso da una profonda umanità, da una pietas che privilegia gli oppressi, ma non dimentica mai completamente neppure gli oppressori. E questo contribuisce a sentirsi parte del racconto: coprotagonisti e non semplici lettori.
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