Per qualche giorno è stato in pole position per diventare il capo del nascente governo a trazione Cinque Stelle-Lega. Poi tutto è sfumato come era naturale che accadesse data la personalità dell'interessato.

Chi conosce Giulio Sapelli o ha anche semplicemente letto i suoi libri sa che si tratta di persona con idee molto chiare e che ama esprimere in maniera diretta, senza troppi giri di parole.

Difficile, quindi, immaginarlo a suo agio tra i mille distinguo e i balletti della politica italiana. Per rendersene conto bastano poche pagine del suo ultimo lavoro, "Oltre il capitalismo" (Guerrini e Associati, 2018, pp. 181, anche e-book), in cui l'economista torinese riflette con spirito libero e anche dissacratorio per il pensiero economico dominante sui limiti del capitalismo attuale, sulle sue storture, fino a ipotizzare la necessità di superare il sistema capitalistico.

Un sistema capitalistico che per Sapelli appare dominato da una nuova civiltà delle macchine, una civiltà in cui lo 0,1% della popolazione possiederà le macchine, lo 0,9% le gestirà e il 99% sarà addetto al poco lavoro non automatizzato della grande impresa o giacerà nell'abisso della disoccupazione.

Ma è veramente possibile andare oltre il capitalismo? Lo chiediamo proprio all'autore del libro:

"Certo che si può andare oltre il sistema capitalistico, anzi si deve andare oltre. Attenzione, io non dico di andare contro il capitalismo ma proprio di superarlo spiritualmente prima ancora che politicamente. Nella storia non sono mai esistiti sistemi economici eterni. È tramontato il sistema schiavistico dell'antichità, è scomparso il sistema feudale del medioevo ed è quindi inevitabile che anche il sistema economico e sociale attuale lasci il posto a qualcosa di nuovo. Anzi ci sono già segnali evidenti di come il capitalismo stia tramontando".

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

A scorrere i titoli dei media però non sembra che si stia celebrando il funerale del capitalismo. Forse ci stiamo perdendo qualcosa?

"I segni della crisi ci sono, anche se nascosti dal fatto che il sistema capitalistico negli ultimi trent’anni ha ottenuto una vittoria schiacciante con il crollo del sistema economico di stampo sovietico. Siamo però di fronte a un capitalismo finanziarizzato e tecnologico che genera forte disuguaglianza, ci confrontiamo con una prassi che ha posto al centro dell'organizzazione sociale il denaro anziché il lavoro e che apre scenari inquietanti per un futuro caratterizzato dalla disoccupazione (o sotto-occupazione) di massa. Non si riesce a uscire dalla deflazione in Europa, la disoccupazione e la precarietà sono ad alti livelli, lo sviluppo della tecnologia distrugge il lavoro senza crearne di nuovo come invece è accaduto nelle rivoluzioni tecnologiche precedenti. Intanto gli indici di borsa calano, le società quotate sono sempre di meno e tutto il sistema stenta".

Come possiamo andare oltre questo capitalismo?

"Serve una ripresa forte dell'autorità dello Stato, Stato che deve essere un imprenditore politico. Attenzione, io non parlo di nazionalizzazione ma della creazione di un sistema cooperativo in cui lo Stato abbia un ruolo autorevole: cooperazione bancaria per il credito, cooperazione di produzione del lavoro e poi il no profit. È un esempio che faccio sempre: la Torah, la Sacra Scrittura ebraica, vieta di ottenere guadagni operando nell’ambito della salute. Per questa ragione i migliori ospedali israeliani – e anche molti istituti americani – sono enti no profit. Tutto ciò che guadagnano lo reinvestono nella manutenzione e nel rinnovo delle apparecchiature. Niente concessioni ai privati, niente monopolio dello Stato ma una vera e propria rivoluzione culturale per cambiare il sistema economico".

Ma da chi deve partire questa rivoluzione?

"Deve essere una rivoluzione gestita dalla politica e il cambiamento deve partire dal basso. La politica non può mai partire dall'alto. Devono tornare i grandi partiti, i partiti di massa. Certo la crisi della politica è molto forte in Europa però lentissimamente le cose cambiano e il socialismo europeo si sta anche se a fatica ricostruendo. Faccio un esempio: nel 1966 il partito socialista francese aveva il 6% dei voti mentre nel 1981 con Mitterand ha superato il 30% e ha conquistato la presidenza della Francia. Ci vuole tempo per il cambiamento. Certo finché la sinistra continua a essere quella che abbiamo ora la voteranno solo i ricchi mentre le classi meno abbienti voteranno le forze conservatrici".
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