L’illusione l’aveva alimentata la televisione: quell’Italia che ogni sera si vedeva attraverso gli schermi sembrava davvero un mondo dorato. Raffaella Carrà e i suoi show, i pettegolezzi del mattino di Magalli, il sontuoso Festival di Sanremo, il Tg1 che cerca di assomigliare ai notiziari americani, le risate di Paperissima, il Festivalbar, le dirette continue sui canali della Rai. Dall’altra parte del mare, nelle case di un’Albania piegata da anni di malgoverno e povertà, in tanti col telecomando in mano avevano iniziato a sognare: a immaginare che un mondo migliore fosse molto vicino. L’idea che fosse facile arrivarci e che l’opportunità di cambiare vita fosse a un tiro di schioppo era diventata una specie di ossessione collettiva. L’esperienza dell’immigrazione di massa, l’Italia dei primi anni Novanta non l’aveva ancora sperimentata: terra di migranti sì, ma da sempre in direzione opposta. Tutto cambia il giorno che nel porto di Bari arriva la Vlora: è l’8 agosto del 1991 e quel giorno si scopre che il mare non è più la barriera di una frontiera insuperabile. Semmai è un’autostrada di disperati. Le immagini che arrivano in diretta sono uno choc nazionale: una nave carica di uomini e donne, di gente appesa a ogni pezzo di ferro, di giovani agganciati alle ringhiere come bandiere. Una specie di formicaio di persone all’inseguimento di un sogno che per molti non era neppure tanto chiaro. 

Gli albanesi si tuffano in mare\u00A0(foto Ansa)
Gli albanesi si tuffano in mare\u00A0(foto Ansa)
Gli albanesi si tuffano in mare (foto Ansa)

La parola migranti, almeno fino a quel momento, non è certo la più usata tra i servizi dei tg o nei titoli dei giornali. E nessun partito ha ancora teorizzato o invocato il blocco navale. L’Italia si scopre meta ambita all’improvviso, da un giorno all’altro, mentre tutte le famiglie passano il pomeriggio al mare. Sul molo si materializza una specie di apocalisse, una scena mai vista e persino inimmaginabile. Un cargo che fino al viaggio precedente trasportava zucchero, porta in Italia un carico impressionante di uomini. Ventimila persone, forse di più, tutte partite senza il bagaglio e senza una destinazione precisa. Con un obiettivo chiaro e immaginato da tempo: lasciarsi alle spalle la miseria e la sensazione di vivere in una nazione senza un futuro. A bordo c’è gente di ogni età e ci sono pure i militari che al porto di Durazzo si sarebbero dovuti occupare della vigilanza e che invece decidono di abbandonare le armi e di mischiarsi ai disperati: tutti in fuga dall’incubo comunista imposto da Enver Hoxha. 

La prima pagina de L'Unione Sarda
La prima pagina de L'Unione Sarda
La prima pagina de L'Unione Sarda

Vlora entra in Italia con lentezza e col motore al minimo, ma quell’attracco che la Capitaneria non è riuscita a impedire ha avuto una potenza che è più facile riconoscere e analizzare oggi, a 30 anni di distanza. È il primo atto dell’era delle migrazioni, la prima goccia di un mescolamento di nazionalità e lingue che rende più varia la società italiana. Materia prima preziosa per gli storici e una piccola rivoluzione socio-politica che l’attualità ha cancellato a colpi di sbarchi dalla Libia e dal Maghreb, tra barconi a Lampedusa e barchini nel Sulcis. Chi era a bordo allora, chi in Italia ci è rimasto e chi invece è stato rimandato a casa, racconta oggi quell’avventura, tra speranze, rischi e anche paura. Il giornalista de La Stampa Filippo Femia si è messo sulle tracce dei protagonisti di quel viaggio e dopo un lungo lavoro ha ritrovato il comandante del cargo e il poliziotto che per primo ha visto apparire all’orizzonte quel mercantile ricoperto di teste. Vlora, il nome velocemente dimenticato della nave, è diventato ora un podcast di successo: cronaca che si fa storia, voci che ancora tremano a ripercorrere quei giorni. «Gli scatti simbolo di quello sbarco mostrano la banchina lastricata di teste, la nave ancora stracolma - riflette Femia - Ecco, quell’immagine è uno spartiacque: in quel momento l’Italia viene catapultata nel XXI secolo. Lì si materializza, con oltre un decennio d’anticipo, il tema del nuovo millennio: le migrazioni di massa. La Vlora ha preceduto i grandi dibattiti in un momento in cui l’immigrazione non aveva scalato le campagne elettorali». 

La polizia cerca di bloccare i profughi\u00A0(foto\u00A0Ansa)
La polizia cerca di bloccare i profughi\u00A0(foto\u00A0Ansa)
La polizia cerca di bloccare i profughi (foto Ansa)

Halim Milaqi, oggi settantenne, l’8 agosto è al comando della Vlora ferma a Durazzo. Una volta completato lo scarico dello zucchero si ritrova sotto gli occhi una specie di fiumana che si avvicina alla banchina. Un numero incredibile di persone: arrivano velocemente, sono tantissimi, nessuno li ferma. Salgono a bordo aggrappandosi alle cime e lì inizia un viaggio drammatico e molto rischioso.«Il motore principale era in avaria e non c’era acqua potabile a bordo - racconta Milaqi - Un viaggio in quelle condizioni era un suicidio. Ma mi minacciarono, anche con i kalashnikov, e usai con il motore di riserva». Con i radar fuori uso la Vlora arriva a Brindisi, ma viene respinta. E allora fa rotta verso Bari: «Una fregata militare si mise davanti e ordinò di tornare in Albania: spiegai che era impossibile - ricorda l’ex comandante – Mi avrebbero ucciso e la nave sarebbe andata alla deriva. Dissi di non ostacolarmi perché si rischiava una strage».

La cronaca di allora
La cronaca di allora
La cronaca di allora

Con l’arrivo della Vlora ecco che in Italia si comincia a parlare d’invasione e si arriva ad assistere anche a scene da incubo, con la caccia all’albanese da parte dei ragazzini nelle strade di Bari Vecchia. La solita accoglienza spontanea non manca e come al solito le porte di molte case si aprono per offrire cibo e acqua ai disperati che a un certo punto si ritrovano persino rinchiusi dentro uno stadio, guardati a vista dai poliziotti armati. L’Europa che ancora non era l’Ue di oggi offre aiuti economici e comincia la strategia pilatesca che negli anni si è ripetuta di continuo. L’Italia decide la linea dura e così tra rimpatri e rastrellamenti solo poche centinaia di persone riescono a restare tra la Puglia e le poche altre regioni disposte all’accoglienza. Artur oggi fa l’ufficiale di collegamento tra la polizia italiana e quella albanese e nel 1991 era poco più che un adolescente: «Avevo 17 anni. Lavoravo come aiuto cameriere nell’unico ristorante a Golem, una spiaggia tipo Rimini. Mi trovavo lì quando arrivò la notizia che il porto è stato aperto. Rientro a casa e incontro mio papà che mi dice ‘Mbeh?’. Io rispondo: “Stanno andando via tutti, che devo fare?”. È ovvio che lui non avrebbe voluto, ma disse, “Vabbè, ti accompagno io”».

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