Vino, arrivano le etichette con l’indicazione del territorio
L’aggiunta del’area o del Comune di produzione fornisce elementi per qualificare una bottiglia: consorzi e cantine si mettono al passo con i tempiA volte anche una minima differenza di pochi metri produce risultati molto diversi qualitativamente. E se prima si diceva che il Chianti Classico o il Barolo erano degli ottimi vini, oggi sempre più si distingue un’etichetta o un territorio all’interno di una denominazione. Dunque, per arrivare alla Sardegna, non più solo Cannonau, ma Cannonau di Barbagia o di Ogliastra, oppure non solo Vermentino di Gallura, unica Docg in Sardegna ad avere questo riferimento territoriale, ma Vermentino con una precisa indicazione geografica (anche nel Sud Sardegna, per esempio, si produce questo vino bianco).
La novità
Cambiano dunque le norme. E arrivano anche in Italia le etichette geo-referenziate. Se per i vini francesi il “terroir”, come dicono i transalpini, è una vera e propria ragion d’essere delle loro produzioni, oggi anche le aziende vitivinicole italiane puntano sulle etichette e denominazioni d’origine (Doc e Docg) sempre più legate al territorio. “È in atto una riforma delle denominazioni che guarda sempre più alle sottozone per valorizzare i territori che magari hanno delle aree più deboli”, spiega Giuseppe Carrus, giornalista esperto di vini e curatore della Guida del Gambero Rosso. In sostanza, cambiano il paesaggio e i suoli e i riflessi sui prodotti possono così essere valorizzati, come sta capitando in Romagna con il Sangiovese dove sono state individuate sedici sottozone.
“In altre regioni come la Toscana o il Piemonte si è cercato di mettere in evidenza queste differenze con le Uga, Unità geografiche aggiuntive, oppure con le MGa, Menzioni geografiche aggiuntive, – osserva ancora Carrus – nel caso del Chianti classico, ad esempio, viene dato il nome del comune per individuare una parte più piccola di territorio rispetto a una denominazione già circoscritta territorialmente. In Piemonte, per citare un altro caso, sul Barolo ci sono delle microdifferenze territoriali che vengono messe in evidenza grazie ai consorzi che sono molto attivi e in tempi rapidi stanno provvedendo a evidenziare le diversità tra le aree produttive”.
In sostanza, la possibilità di indicare in etichetta delle differenze aggiuntive rispetto alla macroarea di produzione del Chianti Classico, del Barolo o della Romagna, assicura ai consumatori e agli enoapassionati una possibilità in più di valutare le differenze che poi si sentono nel bicchiere, quando si degusta un vino. Stanno così spuntando le Unita geografiche del Soave (in Veneto), oppure il Consorzio dei vini dell’Alto Adige presenterà ai primi di ottobre di “Icon Wines”, i vini capolavoro che provengono da sei sottozone della Doc montana. E ancora, dal 1° gennaio sarà avviata la vendita dell’annata 2021 del Nobile di Montepulciano “Pieve”, con la nuova tipologia in etichetta della prima Docg d’Italia. “A Montepulciano è la storia importante, espressa anche dall’architettura, a far la differenza. Insieme a una comunità di persone che, nelle otto contrade, crede fortemente nel valore della territorialità. E le Pievi sono un vino che ha un dettaglio ed è fedele, permettendo a noi produttori di parlare meno di vitigno e più delle caratteristiche del territorio per ritornare a ritrovare la nostra identità legata alla tipicità”, ha detto Luca Tiberini, vice presidente del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano. “Ci sentiamo come produttori del Nobile anche custodi di questo territorio, e sono sei anni che lavoriamo al progetto delle Pievi poliziane convinti che le uve da vecchie vigne possano offrire delle profondità che una pianta più giovane ancora non ha. Sono vini che noi vogliamo proiettati nel futuro, però il fatto di metterli in commercio a 36 mesi di maturazione (un anno dopo rispetto alle altre Uga) - una linea produttiva che implica il sacrificio di tre anni di ammortamento - significa anche dare al consumatore una bottiglia che è pronta ad essere goduta anche in quel in quel momento”.
Il Consorzio del Chianti Classico, invece, da anni porta avanti questa politica con il sistema delle indicazioni geografiche e ha individuato undici aree omogenee all’interno dell’area di produzione del vino rosso toscano con l’etichetta rappresentata dal gallo nero. La denominazione scelta è appunto quella delle Uga, le unità geografiche aggiuntive, con l’obiettivo preciso di rafforzare la comunicazione del binomino nome-territorio, aumentare la qualità in termini di identità e territorialità, consentire al consumatore di conoscere la provenienza delle uve e, non ultimo, stimolare la domanda, differenziando ulteriormente l’offerta.
La Sardegna
Nella nostra Isola, dunque, tutto questo potrà essere applicato soprattutto per i vitigni più diffusi, come ad esempio Cannonau o Vermentino. “In Sardegna esistono già gli Igp, indicazione geografica protetta, e Igt, indicazione geografica tipica, come “Isola dei nuraghi” – spiega Giuseppe Carrus – ma i disciplinari sono un po’ blandi anche se negli anni sono nate delle Igt che sarebbero ottime come sottozone, per esempio Ogliastra o Barbagia”. Oggi, dunque, così come accade ad esempio con il Nepente, che è una produzione tipica del Cannonau della zona di Oliena e Orgosolo, e che solo lì può essere prodotto, si possono individuare e caratterizzare territorialmente alcune produzioni, perché appunto è il terroir che fa la differenza. E tra il Cannonau prodotto sotto le cime calcaree del monte Corrasi di Oliena e quello che proviene dai vigneti del Campidano o della Nurra, c’è una diversità di elementi biologici che nel bicchiere si sente.