Dietro ogni strage ci sono persone, facce, famiglie, intrecci emotivi. Ci sono vittime e carnefici, ognuno di quali con una storia alle spalle, una famiglia, un percorso.

In V13, la sua ultima opera letteraria pubblicata in Italia da Adelphi,  Emmanuel Carrère ha guardato dentro gli attentati del 13 novembre del 2015 a Parigi che fecero 130 vittime tra il teatro Bataclan, i ristoranti Le Carillon, Le petit Cambodge, Quick, La belle équipe, il Café Bonne Biere, lo stade de France. Anzi 131 perché un sopravvissuto non resse al peso di essersi salvato e si suicidò.

Lo fa fatto sei anni dopo seguendo – unico scrittore tra orde di giornalisti - il processo che ha portato alla condanna di 19 dei 20 imputati. Raccontando la vita delle vittime prima dell’appuntamento con la morte attraverso le testimonianze di genitori, mariti, mogli, compagni e compagne, amici. Descrivendo vite normali, sogni interrotti ma anche i momenti delle stragi, le ultime parole di qualche vittima raccontate da chi ce l’ha fatta, i corpi straziati dalle cinture esplosive dei kamikaze o dai colpi di kalashnikov degli attentatori.

Ma Carrère ha guardato oltre i 542 faldoni del processo alti 53 metri e alle 378 pagine dell’ordinanza di rinvio a giudizio degli imputati. Ha anche scrutato dentro la vita dei terroristi, ha analizzato i loro punti di vista, la costruzione del loro pensiero, il loro personale senso di giustizia, partendo dalle sue domande ma anche da una frase di Salah Abdeslam, il principale imputato, che a un certo punto dichiara in aula che un libro va letto dall’inizio, non bisogna guardare solo le ultime pagine. “Dove comincia il patologico? Dove comincia la follia quando c’è di mezzo Dio?”, si chiede Carrère. Che quando entra in quell’aula di giustizia lunga 45 metri e larga 15, costruita appositamente per il “processo del secolo” e costata sette milioni di euro, ha sùbito una certezza: “Fra il momento in cui entreremo in quell’aula di tribunale e quello in cui ne usciremo qualcosa in tutti noi sarà cambiato”.

Il lavoro del sessantacinquenne scrittore francese, che era già entrato magistralmente in una vicenda giudiziaria con l’Avversario, è stato straordinario: la rigorosa cronaca giudiziaria di un processo durato nove mesi arricchita da retroscena, approfondimenti personali, aneddoti, visite nei luoghi, interviste a madri, padri, focus sulle vittime ma anche sui carnefici. Un libro che aiuta a capire le radici del male, a interrogarsi su vita e morte, ad immedesimarsi nel dolore perenne di chi è stato risparmiato dal destino come di chi è sopravvissuto a un figlio, che fosse tra gli spettatori del concerto o tra gli attentatori. Che si sofferma sull’amicizia nata tra il padre di un terrorista e quello di una vittima, sulla storia di Lamia, che quella sera era felice e innamorata, come sull’incredibile faccia tosta di quella donna che chiedeva un risarcimento danni perché gli attentati le avevano rovinato la festa di compleanno per la quale aveva speso tanto denaro.

“Professione?”, chiede, alla prima udienza, il presidente della Corte a Salah Abdeslam. “Combattente dello stato islamico”, risponde il terrorista. Il presidente guarda i suoi appunti e, placido, replica: “Io qui vedo lavoratore interinale”.

Carrère analizza le strategie degli avvocati difensori e delle parti civili, si sofferma sulla sensibilità del pubblico ministero, tratteggia abilmente tutti i protagonisti. E

descrive parte dei contenuti dell’audio – agghiacciante – registrato da uno spettatore che voleva avere un ricordo del concerto degli Eagles of Death Metal, la rock band che stava suonando sul palco del Bataclan quando il commando jihadista ha fatto irruzione nel teatro. Due ore, 38 minuti e 47 secondi di terrore autentico, di urla, di ultime parole prima di morire, di rumore sordo dei mitra che sparano 258 raffiche, di corpi interi e brandelli di corpi (17), di telefoni che squillano all’impazzata. Sono quelli di genitori e compagni che hanno visto le dirette televisive dei tg che raccontano ciò che sta accadendo e cercano i loro cari che forse non risponderanno più. Ma in quella registrazione agghiacciante ci sono anche le parole di uno dei terroristi: <Potete prendervela con il vostro presidente Francois Hollande. Fa il cowboy, il western, lui bombarda i nostri fratelli in Iraq, Soria e noi siamo venuti a fare lo stesso con voi. Siamo dappertutto nel mondo, noi soldati del califfato. Colpiremo dappertutto. Stai fermo tu>. Poi uno sparo. <Ti avevo detto di stare fermo>.

In quella registrazione ci sono tutta l’atrocità di quella strage e il manifesto rivendicativo, le ragioni di quegli attentati, ripetute in aula da un Salah Abdeslam – unico del commando sopravvissuto - una volta silenzioso, una volta arrogante, una volta collaborativo ma mai pentito, anzi. E’ stato condannato all’ergastolo senza possibilità di condizionale. L’altro carcere a vita è stato per Mohamed Abrini. Agli altri 18 imputati sono state inflitte pene tra trenta e due anni di carcere. "Non sono tutti jihadisti, ma hanno tutti accettato di far parte di un gruppo terroristico, per convinzione, codardia o avidità", ha detto il pubblico ministero Nicolas Braconnay alla Corte.

Leggere V13 è d’obbligo perché nelle 267 pagine del libro c’è molto di ciò che si vuole sapere. Ma soprattutto è un libro per chi vuole capire le vittime e persino i carnefici. Un viaggio ai confini dell’orrore che ha cambiato l’autore e forse cambierà anche i lettori.

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