Quanto ci spaventa osservarci allo specchio? Quanto è difficile tenere lo sguardo su noi stessi? Provare per avere una risposta e capire se davvero la nostra immagine riflessa può turbarci. La prova arriva nel percorso di una bellissima quanto intrigante mostra in corso al Museo Diocesano, firmata, guarda un po’, da Silvia Oppo e Antonello Carboni. Due nomi che non smettono di sorprenderci con le iniziative che non sono mai semplici esposizioni di opere d’arte ma piuttosto un momento di riflessione. Questa volta su noi stessi. “Sé, come un altro” è appunto il titolo della mostra che si snoda alla stregua di un labirinto con colpi di teatro, uno dopo l’altro. In esposizione la bellezza – è proprio il caso di dirlo – di 85 opere che spaziano nel tempo e negli stili espressivi più diversi.

Un percorso con la guida dei due curatori che srotolano la storia e raccontano le varie sfaccettature, soddisfano ogni curiosità e rivelano aspetti nascosti che non emergono se non agli occhi esperti. «Uno spunto per una riflessione non solo storica ma anche teoretica» dicono i curatori della mostra. «Sé come un altro definisce la sua ragione d’essere attorno al tema dell’identità. La selezione dei ritratti in mostra rivela stili, gesti, movimenti, tecniche ed espressioni molto diversi fra loro. Ma c’è un elemento che suggeriamo di indagare e che caratterizza il nostro viaggio fra i ritratti: l’identità sociale di colui che è ritratto e l’identità personale di chi ritrae. Questo rapporto, questa chiave di accesso all’opera, ci permette di andare oltre la semplice osservazione e abbatte la distanza fra noi e l’osservato, ci offre la possibilità di abitare lo spazio rappresentato, di praticare un viaggio nelle personalità emotiva dell’autore».

La mostra (foto concessa)
La mostra (foto concessa)
La mostra (foto concessa)

Ecco, allora, il racconto di «questa dimensione ermeneutica nella generazione del Contemporaneo presente, maggiormente svincolato da legami di committenza, molto più attento a narrare se stesso nella speranza di potersi orientare, conoscersi e riconoscersi attraverso la capacità di stare al mondo, proprio come l’homme capable di Paul Ricoeur» vanno avanti Antonello Carboni e Silvia Oppo. «Parliamo del particolare per scoprire la storia, per compiere un cammino di conoscenza, di trasfigurazione, leghiamoci a un autore, a un pensiero, a un’opera, condividiamo, alimentiamo la reciprocità e avremo la certezza di non essere soli nell’incertezza che spesso ci sovrasta».

Una sorta di labirinto all’interno del quale è meraviglioso perdersi per poi ritrovare la strada. Sotto lo sguardo attento immortalato nei ritratti di Antonio Ballero, Antonio Ortiz Echague, Carlo Contini e Renato Guttuso, per citarne alcuni. Ma anche le sculture di Maria Crespellani e le fotografie colpisce quella di Gabriele Calvisi che racconta in un ambiente diverse vite, attraversate da una luce che sembra voler venire fuori dallo scatto. Ancora Libero Meledina, la Fille Bertha, Igino Panzino, Marco Pili, Greta Frau. Tutte le opere arrivano da collezioni private. Un tesoro messo a disposizione del Museo diocesano che sapientemente ha saputo creare un percorso interessante e sorprendente, tutt’altro che banale. A metà percorso si si imbatte in un imbuto di specchi che riflettono l’immagine del visitatore, la moltiplicano e costringono a guardare i tanti sé. In questo punto della mostra può nascere la paura di affrontare e osservare la nostra immagine riflessa. Quanto può essere inquietante guardarci negli occhi? Che cosa suscita questo momento di riflessione? Un viaggio dentro noi, una introspezione che spesso diventa difficile affrontare. Provare per credere e capire. La visita alla mostra regala anche questo momento intimo con noi stessi, oltre che il piacere di ammirare le opere e scoprire l’aspetto prettamente artistico di ognuna.

C’è tempo fino al 15 ottobre per fare questo viaggio e sfogliare alcune pagine della storia dell’arte. Ma anche per affrontare in profondità Sé come un altro, per scoprire se effettivamente può emergere un altro rispetto a noi.

© Riproduzione riservata