In un futuro non troppo lontano diremo addio a scottature e spiacevoli quanto pericolosi rischi alla pelle dovuti al sole. Tutte merito di un semplice braccialetto che indossato al polso potrà monitorare il giusto apporto di raggi ultravioletti per la salute.

L’idea

Il progetto che sa di fantascienza sventola bandiera tricolore grazie alla collaborazione tra i ricercatori dell’Università Sapienza di Roma ed Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, che stanno mettendo a punto il dispositivo munito di un sofisticato sensore che potrà misurare sia l’esposizione della pelle alla radiazione solare ed evitare di superare i livelli benefici di luce ultravioletta, che determinare la giusta sintesi della vitamina D per fissare il calcio nelle ossa. 

Nuovi pericoli

«Negli ultimi anni si sta sviluppando nella comunità scientifica e nella popolazione una consapevolezza sempre maggiore sugli effetti, a breve e lungo termine, dell’eccesso di esposizione alla radiazione UV. La comunità medica riconosce la necessità di consigli personalizzati per l’esposizione al sole data l’esistenza di diversi fototipi ed è qui che i sensori UV, che permettono di avere una misura del grado di esposizione, entrano in gioco», spiega Sabina Botti, ricercatrice del Laboratorio Enea Micro e Nanostrutture per la Fotonica.

I sensori sviluppati da Enea e Sapienza Università di Roma, costituiti principalmente di materiale idrogel sono economici, facili da realizzare e possono essere calibrati sul soggetto destinato ad indossarli: la dose limite, al di là della quale si rileva un danno per la pelle, dipende infatti dalla quantità di melanina che determina la pigmentazione della pelle che varia da soggetto a soggetto.

Potenzialità

«Sarà possibile sviluppare sensori personalizzati, adatti sia a soggetti dalla pelle bianchissima (fototipi I e II) che a quelli con la carnagione più scura, quindi più resistente alla luce ultravioletta (fototipi dal III in poi)”, aggiunge Botti. “Inoltre, sono facilmente integrabili in supporti indossabili (per esempio in un braccialetto) e sono di facile interpretazione ad occhio nudo. Il sensore fornisce, infatti, a chi lo indossa un’allerta sull’esposizione massima ricevuta, basata sullo ’scolorimento’ del materiale con cui è prodotto», conclude Botti.

Il Laboratorio di Ingegneria Chimica e dei Materiali di Sapienza Università di Roma sta realizzando il materiale composito con cui è costituito il sensore, ovvero una matrice idrogel contenente un colorante, il blu di metilene, e nanoparticelle di biossido di titanio. Il Laboratorio Enea di Micro e nanostrutture per la fotonica si occupa, invece, di produrre le nanoparticelle di biossido di titanio e di studiare la risposta dei sensori alla luce ultravioletta utilizzando tecniche di micro-spettroscopia Raman.

Grazie all’elevato contenuto di acqua, le proprietà degli idrogel sono comparabili a quelle dei tessuti biologici, rendendoli potenzialmente biocompatibili e adatti ad altre applicazioni.

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