Lo sguardo delle gemelle ritratte da Fabio Lumbau nel 1951 non può lasciare indifferenti: i loro occhi turchini sembrano attraversare la tela e andare dritti a incontrare quelli di chi si ferma a osservarle. Ma non è l’unica opera a incantare i visitatori che fanno tappa al Museo diocesano arborense e alla Pinacoteca comunale di Oristano. In esposizione fino al 30 giugno infatti si possono ammirare trecento lavori fra tele, ceramiche e sculture dal XIX secolo a oggi. La mostra “De insula. Dall’Ottocento al contemporaneo” è stata ideata da Antonello Carboni e Silvia Oppo, direttrice del Museo diocesano, con l’intento di ricostruire pagine di cronaca e di storia del patrimonio artistico raccolto in Sardegna. “Un vasto arco temporale” spiegano Carboni e Oppo. “che abbraccia 160 anni e viene raccontato nei volti, nei costumi e nelle forme attraverso un meraviglioso mondo iconografico in cui tutto parla di noi”.

E come non fermarsi ad ammirare la tela di Salvatore Garau? Un gioco di sfumature di rosso, su uno sfondo chiaro, che si incrociano a formare quasi un bocciolo.   

I visitatori possono scoprire anche installazioni che manifestano i cambiamenti del tempo anche dal punto di vista antropologico, sociale e culturale.

La sala (foto Mocci)
La sala (foto Mocci)
La sala (foto Mocci)

“Il viaggio ha inizio in un clima rarefatto, come nel ritratto ieratico di signora, realizzato da un grande maestro dell’Ottocento, e si conclude in un magmatico universo contemporaneo” spiegano i curatori della mostra.  Emoziona osservare come la continuità di una figurazione classica e tradizionale nei temi, possa riaffiorare sotto nuove vesti nel mezzo di mutate esigenze sociali e istituzionali. “Il vecchio che lascia lentamente spazio al nuovo che avanza, conglobandosi e stratificandosi nell’invenzione di una nuova tradizione, e l’irruzione improvvisa dell’influenza di movimenti artistici hanno determinato l’affermazione di un nuovo gusto estetico in una società non sempre pronta e disponibile a recepire l’arte come elemento fondamentale per la crescita di una comunità”.

Nel frattempo, giovani artisti talentuosi emergono nei primi anni del Novecento e le committenze, non solo istituzionali e cimiteriali, si ampliano lentamente grazie al nuovo ceto borghese in cerca di prestigio e di un posizionamento sociale. Fioriscono sempre più le botteghe, le Mostre di arte sarda si affermano e il clima del dibattito culturale si fa più intenso.

Ritratto (foto Mocci)
Ritratto (foto Mocci)
Ritratto (foto Mocci)

“Le sale espositive dedicano ancora nel 1921, per esempio, ampio spazio agli artisti dell’Ottocento come Ballero, Rossino e Melis Marini mentre Ciusa si inserisce in modo unico e considerevole come anello di congiunzione che lega il passato al presente dei giovani Altara, Dessy, Albino Manca e Federico Melis” spiegano i curatori della mostra. “Per assistere al vero cambiamento di paradigma è necessario attendere la fine degli anni Cinquanta. Sebbene già Mauro Manca sia stato precursore immaginifico nella produzione artistica isolana, la vera rivoluzione arriva grazie a un folto gruppo di giovani artisti che cercano di spazzare via tutto ciò che rappresenta la tradizione, abbandonando il figurativo e sposando totalmente l’informale. Si costituisce negli anni ‘60 un mondo binario, tradizione che si cristallizza e procede lenta verso il suo naturale declino e sperimentazione che guarda con voluttà al mondo che cambia”.

L’onda lunga della forza prorompente delle neoavanguardie, promossa soprattutto a partire dagli anni '70 dalla galleria Arte Duchamp di Cagliari, “comincia ad assopirsi anch’essa sul finire degli anni ‘80, lasciando incertezza e un vuoto che lentamente viene ricolmato dalle nuove generazioni di artisti che, forse inconsapevolmente, hanno già compiuto una terza rivoluzione estetica, attraverso temi e modelli di un mondo in cui l’Io è  esploso, fluido, e si cerca furiosamente di ricomporlo e dargli almeno una forma momentanea”.

La mostra è un'iniziativa originale e corale, promossa dall’Arcidiocesi di Oristano e dal Comune di Oristano, insieme al Museo Diocesano Arborense e alla Fondazione Oristano.

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