Piccolo è bello, anzi bellissimo. Per raccontare la storia di un luogo, le tradizioni più solide, il lavoro che una volta dava ricchezza alla comunità. Piccolo è bello anche per apprezzare lo sguardo dell’artista, deciso a farsi adottare dalla città sul fiume fino a sentirsi nato sulle rive del Temo. Benvenuti a Bosa, dove tre piccoli musei, di dimensioni davvero contenute, valgano un viaggio, senza tralasciare gli straordinari tesori che questa cittadina custodisce, a cominciare dalla superba chiesa di San Pietro extra muros, uno stupendo edificio romanico adagiato sulla riva del fiume, per arrivare ai ruderi del Castello dei Malaspina, signori di Bosa, e alla cappella palatina di Nostra Signora di Regnos Altos, i cui affreschi sono di rara bellezza.

Dunque un universo sociale ed economico in tre musei, “Casa Deriu”, il Museo delle Conce e la pinacoteca Atza.  Il primo è una bella casa padronale, affacciata sul corso Vittorio Emanuele, la grande via dietro al lungo Temo, a ridosso delle vie e dei vicoli colorati e pieni di piante di Sa Costa.

La prima curiosità è che questo bel palazzo, con un ingresso in trachite, la pietra rossa che caratterizza Bosa, del 1838 (data di un robusto restauro), è arrivato agli ultimi eredi, i Deriu, per via femminile. Vale a dire che erano le donne di casa Uras-Chelo prima, e Zedda Athene poi, a portare in dote solide sostanze. Parliamo di famiglie borghesi che nell’800 avevano in uso l’abitudine di ingrandire i propri spazi abitativi, acquistando due o più edifici confinanti, livellandoli, per farne un’unica abitazione. Operazione di alta ingegneria che richiedeva l’impiego di tiranti, ancora oggi visibili.

Il piano nobile testimonia fedelmente un appartamento padronale bosano della fine del XIX secolo con arredi e decorazioni originali. Bosa, la sola città sarda su un fiume navigabile, è un mondo aperto agli scambi e quindi alle influenze, un borgo dinamico, moderno. Per non dire raffinato: il lampadario del salotto è un bellissimo esemplare di Art Nouveau, mentre il disegno del parquet intarsiato in legno di olivastro e ciliegio, viene ripreso a tempera, nel soffitto. Un gusto difficile da incontrare nell’Isola. Permeabile alle novità, Bosa riesce a inserirle in contesti nuovi. Ecco allora le porte in stile veneziano e il pavimento della camera da letto con le preziose maioliche ottocentesche, dipinte a mano, provenienti da Vietri sul Mare, nonché un letto a una piazza e mezzo in ferro battuto, decorato a mano di fattura ligure. Bastano questi oggetti a dire quanto Bosa fosse un centro di scambi.

L’ultimo piano di “Casa Deriu” ospita i lavori di Melkiorre Melis, eclettico artista bosano, capace di passare dal disegno, al design, fino alla ceramica.

La camera da letto di Casa Deriu (foto archivio L'Unione Sarda)
La camera da letto di Casa Deriu (foto archivio L'Unione Sarda)
La camera da letto di Casa Deriu (foto archivio L'Unione Sarda)

L’altra faccia della storia di Bosa, quella economica, è invece rappresentata dal Museo delle Conce. A fine Ottocento e per tutta la prima metà del Novecento, la città sul Temo è stata la capitale delle concerie in Sardegna. Ecco perché il suo museo rappresenta un luogo di straordinaria importanza per conoscere i segreti della lavorazione delle pelli. Realizzato in una conceria risalente al 1700, porta subito nel cuore del lavoro: il pavimento in vetro, grazie a un intelligente restauro, ha riportato alla luce le originali vasche in muratura, con la classica struttura in pendenza, dotate di canali di scolo aperti verso il fiume. È qui che iniziava la concia delle pelli, un lavaggio fatto a mano dagli operai, un lavoro durissimo, che li esponeva a malattie respiratorie (come il carbonchio, tipica malattia bovina). L’arrivo dei primi macchinari riduce il lavoro umano; i profitti calano e si arriva alla chiusura dell’industria conciaria, che esportava il prodotto persino in Francia, nel 1962.

L’ultima tappa suggerita è alla pinacoteca dedicata all’artista Antonio Atza, nato a Bauladu, ma arrivato a Bosa da bambino. Un amore assoluto che lo fa sentire bosano nell’anima. Il museo con le sue opere è un dono fatto alla comunità che lo aveva accolto.

© Riproduzione riservata